Sono passati quasi cent’anni da quando il 2 giugno 1926 Tina Lagostena Bassi veniva al mondo per cambiare insieme alle donne le regole scritte fino ad allora soltanto dagli uomini.

Avvocata, e poi parlamentare, negli anni ‘70 ha aperto la strada all’emancipazione femminile per “via giudiziaria”: prima sovvertendo un certo modo di fare i processi per stupro, con le sue memorabili arringhe, poi contribuendo all’affermazione dei diritti delle donne con quell’impegno politico che culminerà nel 1996 con l’approvazione della legge contro la violenza sessuale. Nel mezzo le battaglie per la parità di genere, dall’introduzione delle Quote rose alla riforma del diritto di famiglia: un’attività senza sosta, quella di Lagostena Bassi, protagonista dello speciale di Silvia Cossu, con l’introduzione di Paolo Mieli e la regia di Nicoletta Nesler, in onda il 30 maggio alle 22.10 su Rai Storia.

Icona indiscussa del movimento femminista, per vederla in azione - toga indosso e sguardo deciso - bisogna tornare al 1978: Lagostena Bassi è l’avvocata della “donna Fiorella”, una ragazza di 18 anni vittima di violenza carnale da parte di quattro uomini sulla quarantina. La giovane conosce uno di loro, Rocco Vallone, che le offre il sogno di un impiego stabile come segretaria in una ditta. Da lavoratrice precaria, Fiorella non ci pensa due volte, e lo segue in una villetta a Nettuno per discutere dell’offerta. Ad attenderla, però, non c’è la fortuna sperata: i quattro la sequestrano e la violentano per un intero pomeriggio, a turno, soffocando ogni tentativo di ribellione.

La giovane decide di denunciarli, e al momento dell’arresto il gruppetto ammette i fatti, per poi ritrattare durante l’interrogatorio. In seguito gli imputati cambiano di nuovo versione: sostengono che il rapporto c’è stato, ma dietro il compenso di 200mila lire, poi non pagato per via di una “prestazione” poco soddisfacente.

La difesa dei quattro è pronta a fare come da prassi: sul banco degli imputati ci si mette la donna, per umiliarla e dimostrare che quella violenza deve averla certamente provocata. Nel tribunale di Latina, dove si celebra il processo, succede però qualcosa di straordinario. Lagostena Bassi ribalta lo schema, e quello a cui prende parte diventa il primo “Processo per stupro” trasmesso in Tv il 26 aprile 1979, sulla Rai. Le telecamere entrano in aula grazie a sei giovani programmiste, filmaker e registe che decidono di filmare il processo e farne un documentario che avrà un enorme impatto mediatico, con un seguito di circa tre milioni di telespettatori alla prima messa in onda, e nove alla seconda.

«Presidente, Giudici, credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Per donne intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa», scandisce in aula Lagostena Bassi. Che per la prima volta la parola “stupro” l’ha pronunciata al processo sul massacro del Circeo, come difensore di Donatella Colasanti.

Il docufilm Rai si apre con una scena emblematica: la difesa “offre” sul banco davanti alla Corte due milioni di lire come risarcimento del danno. Una cifra sufficiente a liquidare in fretta la faccenda, secondo gli imputati. Una «mazzetta gettata sul tavolo», secondo la legale. Che per conto di Fiorella rifiuta il risarcimento e chiede solo una lira in via simbolica. «Noi donne riteniamo che una violenza carnale sia incommensurabile», sottolinea l’avvocata. Si tratta di rifiutare una narrazione consolidata, una cultura inquisitoria che trasforma la donna da vittima a imputata, minandone la credibilità e indugiando nei dettagli degli abusi subiti: è quella che oggi chiamiamo vittimizzazione secondaria, l’abitudine di reiterare la violenza all’interno dei tribunali. Trattando qualche volta le donne alla stregua di merci.

«Che cosa avete voluto? La parità dei diritti. Avete cominciato a scimmiottare l’uomo. Voi portavate la veste, perché avete voluto mettere i pantaloni? Vi siete messe voi in questa situazione. E allora ognuno purtroppo raccoglie i frutti che ha seminato. Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l'avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente», dice l’avvocato Angelo Palmieri durante l’arringa. Le sue parole non sorprendono: la violenza carnale rientra ancora tra i delitti “contro la moralità e il buon costume”, la libertà sessuale della donna è un concetto scandaloso.

Sorprendono invece le parole di Lagostena Bassi, che punto per punto rompe quel tabù e rovescia il paradigma. «Se invece che quattro oggetti d’oro - recita la sua arringa -, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire “non è una puttana”. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza».