Il Csm approva a maggioranza la delibera per l’elaborazione dei test psicoattitudinali per i magistrati. Una discussione tesa ha fatto emergere due visioni e un malessere diffuso: da una parte chi vede nei test un tentativo di controllare la magistratura e di farla passare per inadeguata, dall’altra chi considera la tipologia scelta dal Csm poco aderente alla volontà del legislatore, di fatto aggirata.

A presentare la delibera è stato il togato indipendente Roberto Fontana. I test, che verranno somministrati ai candidati magistrati dal 2026, saranno elaborati dalla Sesta Commissione, affiancata da quattro esperti: Santo Di Nuovo (Psicologia generale), Monica Molino (Psicologia del Lavoro), Giuseppe Sartori (Psicologia forense) e Andrea Spoto (Psicometria), scelti dopo un’ampia fase di audizioni.

L’obiettivo è valutare le capacità cognitive specifiche necessarie per la funzione giudiziaria, escludendo i test di personalità, ritenuti “scarsamente predittivi” e “soggetti a falsificazioni”. Si punta a misurare il potenziale del candidato, verificando abilità come ragionamento, problem solving e adattamento, ed evitando il rischio di profilazione, la principale preoccupazione espressa dalle toghe. L’orientamento del Csm prevede l’individuazione preventiva delle condizioni che configurano «l’idoneità cognitiva» per l’accesso in magistratura.

I test dovranno essere elaborati «con un esperto di dominio», cioè con la collaborazione di magistrati o conoscitori della realtà giudiziaria. Saranno dunque gli stessi giudici a definire “l’identikit cognitivo” del magistrato ideale. Cautele che sminano le polemiche che avevano accompagnato il provvedimento, sul quale il Csm non aveva potuto dare parere preventivo, essendo stato introdotto come emendamento alla norma “madre”.

È stato il vicepresidente Fabio Pinelli ad aprire il dibattito sul “non detto” di fondo: il timore che «dietro questi strumenti di carattere psicoattitudinale, e forse anche psicopatologico, si possa esercitare una forma surrettizia di controllo della magistratura, che mini in radice autonomia e indipendenza, valori fondanti della nostra democrazia». Per Pinelli, però, la magistratura dovrebbe interrogarsi anche dalla prospettiva del cittadino, che oltre a meritare un giudice indipendente e imparziale merita un giudice idoneo, dal momento che «i magistrati incidono sui diritti fondamentali della persona, prima di tutto quello sulla libertà personale».

«L’assenza di condizioni ostative all’esercizio della funzione che incidano sull’equilibrio del magistrato – ha aggiunto – è un dovere che anche il corpo della magistratura deve curare». Il vicepresidente ha invitato inoltre il Consiglio a interrogarsi sulla «capacità di rimuovere situazioni di ostacolo all’esercizio della funzione in modo equilibrato». I test, ha precisato, non devono essere «uno strumento di sorveglianza» o di controllo sulle carriere, ma una garanzia «che chi giudica sia davvero idoneo».

Per la togata di Magistratura Indipendente Bernadette Nicotra, i magistrati «sono già oggi la categoria di dipendenti pubblici più controllata durante la carriera». E ha contestato la narrazione secondo cui le valutazioni sarebbero solo positive. «Oggi non si tratta di valutare l’opportunità o meno dei test psicoattitudinali – ha detto – ma il momento in cui collocarli». La scelta più razionale, per Nicotra, sarebbe «a monte del concorso» oppure «al termine del tirocinio, per verificare l’idoneità psichica dopo un effettivo “stress test operativo”». Una posizione ribadita dal togato indipendente Andrea Mirenda, secondo cui il test a fine tirocinio consentirebbe «un fact checking complesso» e un notevole risparmio sulla procedura concorsuale, che rischia di diventare elefantiaca o, al contrario, puramente simbolica. Da qui la proposta di aprire in Sesta Commissione una pratica per un tavolo col governo, al fine di verificare la disponibilità politica a spostare a valle l’accertamento. Ma è necessario, ha avvertito, evitare «toni catastrofici» e cominciare «a ragionare guardando oltre il nostro ombelico, vedendo che cosa la società civile immagina nel magistrato, che deve incarnare un servitore dello Stato di altissimo profilo, cui affidare le proprie sorti patrimoniali e di libertà personale».

A contestare un eccessivo “sindacalismo giudiziario” è stato il laico di centrodestra Felice Giuffrè, secondo cui l’emendamento che specifica la «formale ottemperanza al precetto legislativo» rappresenta «la sottolineatura di un fastidio» verso il legislatore. Per Giuffrè, il test non è una materia ma un accertamento sui prerequisiti: «Partecipare al concorso non è un diritto assoluto. Serve a garantire che acceda alla magistratura solo chi possiede le attitudini necessarie». Per la togata di Magistratura democratica Mimma Miele, il rischio è quello di una “normalizzazione” della magistratura. Ha ricordato che di test si parla da almeno trent’anni, «a partire dal famoso piano di rinascita nazionale sequestrato oltre trent’anni fa», quello di Licio Gelli, che prevedeva tra i punti proprio l’introduzione dei test per ridurre l’autonomia dei giudici. «Sono particolarmente allarmata – ha aggiunto – dalla lettura che si dà ogni volta che un magistrato difende la Costituzione. Ma solo la magistratura, tra i tre poteri dello Stato, deve essere sottoposta a una verifica psicologica?».

Sulla stessa linea il togato di Area Marcello Basilico, per il quale «è indubbio che questi test abbiano radici antiche», in quella visione dei magistrati come «antropologicamente diversi dalla razza umana», evocata da Silvio Berlusconi. Per Marco Bisogni di Unicost, «il non detto non è la paura di controllo, ma il tentativo di affermare che la magistratura italiana è tendenzialmente inaffidabile», un attacco alla sua credibilità che rischia di alimentare sfiducia invece di costruire fiducia nella giustizia.

Insoddisfatte le laiche di centrodestra. Per Claudia Eccher, il Csm avrebbe tradito l’intento del legislatore, che voleva accertare l’esistenza di psicopatologie o disturbi della personalità, «che non verrebbero mai rilevati con i test che noi andiamo a proporre». E si è detta «esterrefatta» Isabella Bertolini, che si è astenuta: «Sembra che i magistrati vivano in una bolla totalmente avulsa dalla realtà. Qualcuno ha parlato di una narrazione per intaccare la credibilità dei magistrati che c’è nel Paese, come se esistesse un comitato per togliere autonomia e indipendenza alla magistratura. I test sono un pastrocchio. La riforma costituzionale non va bene. L’importante è non toccare nulla. Per i togati, la magistratura funziona perfettamente. Sappiamo che non è così. Ho la sensazione – ha concluso – che ad alimentare una certa narrazione sui magistrati siano proprio i magistrati stessi, con questi comportamenti».