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ENRICO COSTA, POLITICO
Doveva essere una micro-riforma chirurgica e veloce. E invece la proposta di legge sui limiti ai pm nel sequestro degli smartphone si è incagliata in un ingorgo fra pressioni della magistratura e divergenze nel centrodestra. Solo ieri, dopo una lunga serie di esitazioni e rinvii, la commissione Giustizia della Camera ha indicato il termine per la presentazione degli emendamenti: scadenza fissata per giovedì 9 ottobre alle 12.
Ma la verità è che, dopo il via libera in prima lettura a Palazzo Madama dell’aprile 2024, si è creato un serio pregiudizio sul destino del provvedimento, per via di perplessità maturate soprattutto in Fratelli d’Italia. «Noi di Forza Italia», dice Enrico Costa, «riteniamo invece doveroso introdurre una disciplina nel sequestro dei dispositivi elettronici e in particolare della messaggistica, per il banalissimo motivo che la Corte europea, nell’ormai lontano dicembre dell’anno scorso, ha chiarito senza equivoci che un inquirente non può disporre del telefono o di qualsiasi altro dispositivo di un indagato se non ottiene l’autorizzazione di un giudice. Esattamente come avviene per le intercettazioni».
Ora, osserva tra sarcasmo e amarezza il vicepresidente azzurro della commissione Giustizia di Montecitorio, «se davvero le pronunce dei giudici sovranazionali vanno recepite in Italia immediatamente e tassativamente solo quando fanno comodo alla magistratura, basta che ce lo dicono...». Nelle riflessioni condivise da Costa con il Dubbio, sembra implicito il riferimento alle decisioni della Corte Ue in materia di migranti, in nome delle quali, in effetti, non si è esitato a travolgere, e giustamente, il modello Albania sperimentato dal governo.
Nel dettaglio va ricordato che il testo originario, presentato più di due anni fa da Zanettin a Palazzo Madama, introduce un articolo 254 ter nel codice di procedura penale che, per il sequestro di dispositivi della persona indagata, fissa obblighi analoghi a quelli imposti alle Procure per le intercettazioni. Già però al Senato, il testo originario era stato “depurato”, si fa per dire, delle norme che, pur in presenza di un’autorizzazione del al prelievo di chat dallo smartphone di un indagato, imponevano una successiva udienza stralcio, un contraddittorio in cui anche la difesa potesse chiedere al giudice, al pari dell’accusa, di acquisire nel fascicolo non solo la messaggistica utile alla tesi del pm ma anche eventuali altri elementi favorevoli, appunto, alla persona accusata.
Garantismo apparso “ridondante” agli alleati di FI, «un ostacolo esiziale per l’efficacia delle indagini», avevano obiettato i procuratori in audizione. Sembra però non sia bastata, come limatura. Perché soprattutto il partito di Giorgia Meloni si mostra sensibile anche ad altri rilievi emersi, sul fronte della magistratura inquirente, dopo che il testo era arrivato a Montecitorio. Il procuratore nazionale Antimafia Gianni Melillo, il capo dei pm di Napoli Nicola Gratteri e altri magistrati hanno obiettato che è intollerabile la norma, pure prevista nel testo approvato a Palazzo Madama, sui limiti di “riutilizzo” del materiale estratto dai cellulari nell’ambito di una certa inchiesta, nell’ambito di indagini diverse da quella iniziale.
«Al momento, tale travaso resta consentito solo per i reati gravissimi per i quali è consentito l’arreso in flagranza», osserva Costa, «ma se i colleghi degli altri partiti, in commissione Giustizia, pensano di dover accogliere le obiezioni sollevate dalle Procure, allora a quel punto noi di Forza Italia presenteremmo anche altri emendamenti, di tutt’altra natura, a cominciare da una rigorosa regolamentazione dei trojan».
Se ne parlerà fra pochi giorni: per la settimana prossima è fissata una riunione fra i deputati di maggioranza della commissione Giustizia. La si deve anche al presidente dell’organismo di Montecitorio, il meloniano Ciro Maschio, che ha raccolto le ripetute sollecitazioni rivolte dai berlusconiani agli alleati. Ci si guarderà negli occhi e si deciderà se evitare ulteriori ritocchi alla “legge smartphone”, e approvarla senza modifiche in modo che entri in vigore. O se assecondare, appunto, i suggerimenti espressi dai magistrati, ma allungare così i tempi, con l’inevitabile ulteriore lettura al Senato.
Nella seconda e più probabile ipotesi, ci troveremmo di fronte all’ennesima conferma che Fratelli d’Italia, in vista del referendum sulla separazione delle carriere, non vuole “esagerare”, non intende infierire sulla magistratura. È una logica emersa più volte, ormai da mesi, su diversi altri dossier di politica giudiziaria. Basti pensare all’ormai leggendaria riforma delle misure cautelari, a cui pure il guardasigilli Carlo Nordio tiene molto ma che evidentemente, per Giorgia Meloni e il suo partito, sarebbe a questo punto un “di più” pericoloso. E alla fine, il pericolo, la ritrosia di FdI nel completare alcune riforme garantiste, è il riflesso di un approccio diverso, fra i partiti di centrodestra, nel rapporto con gli elettori sul fronte giustizia.
Se ci si fa caso, il messaggio che la stessa Meloni si ostina a ripetere in vista del referendum sul “divorzio” giudici-pm è che «si tratta di una riforma non ostile alla magistratura ma necessaria per estirpare la malapianta del correntismo». Ma sull’abnormità di alcuni strumenti a disposizione dei pm, come nel caso dell’assenza di regole nel sequestro degli smartphone, i meloniani sono assai meno sensibili di Forza Italia. La Lega resta un po’ a metà fra strada, sospesa fra le asprezze di Matteo Salvini nei confronti delle “toghe politicizzate” e la linea meno di rottura indicata da Giulia Bongiorno.
Fatto sta che nel centrodestra, anche in vista del referendum sulle “carriere”, si colgono linguaggi molto diversi. FdI presume che ai propri elettori non piaccia veder spuntati gli artigli delle Procure. Forza Italia, dal viceministro Sisto al vicepresidente della commissione Giustizia Costa, preferirebbe invece ampliare il percorso destinato a culminare nella separazione delle carriere. E visto che già la riforma costituzionale è un bel peso da reggere, la linea di Meloni e dei suoi sembra fatalmente più quotata del garantismo forzista.