PHOTO
COSIMO MARIA FERRI DEPUTATO
Ci sarà anche il giudice Cosimo Ferri, storico leader del gruppo moderato di Magistratura indipendente e, all’epoca, il più votato all’Anm, nella “task force” voluta da via Arenula per smaltire l’arretrato civile e raggiungere così, entro il prossimo mese di giugno, i tanto agognati obiettivi del Pnrr concordati con Bruxelles.
Lo ha deciso questa settimana il Consiglio superiore della magistratura che ha approvato la delibera con cui viene data attuazione alla “applicazione straordinaria a distanza di magistrati ordinari presso gli uffici giudiziari di primo grado”. La misura è contenuta nel dl 117 dello scorso 8 agosto, “Misure urgenti in materia di giustizia”, convertito definitivamente mercoledì in Senato. Dopo avere individuato 48 uffici di primo grado destinatari dell’applicazione straordinaria a distanza, è stato determinato il numero dei magistrati da applicare per ogni ufficio giudiziario, distribuendo così le 500 toghe inizialmente previste. È stata quindi bandita la procedura di interpello al quale potevano partecipare anche magistrati fuori ruolo, proprio come Ferri, il quale ha quindi deciso di rimettersi in gioco ed è stato assegnato al tribunale di Napoli, uno di quelli in maggiore sofferenza.
Ferri è ora in forza presso il Dipartimento dell’amministrazione della giustizia di via Arenula a seguito dell’entrata in vigore della riforma Cartabia che ha vietato il rientro in servizio alle toghe che, come lui, hanno ricoperto incarichi elettivi. Degli iniziali 212 magistrati che hanno aderito, su una platea di potenziali 2600, il Csm ha dato il via libera ad appena 165.
Per Ferri si tratta indubbiamente di un riscatto dopo un periodo difficile durante il quale è finito, suo malgrado, sotto la scure disciplinare. A marzo dello scorso anno, comunque, era stato assolto “per essere escluso l’addebito” nel procedimento che gli era stato aperto solo per avere accompagnato a casa di Silvio Berlusconi, tra la fine del 2013 e i primi mesi del 2014, quando era in aspettativa in quanto e sottosegretario alla Giustizia, il giudice relatore del processo Mediaset, Amedeo Franco, componente della Sezione feriale della Cassazione che ad agosto del 2013 aveva confermato la condanna per frode fiscale del leader di Forza Italia.
Le Sezioni unite di piazza Cavour, a settembre del 2023, avevano stabilito che il processo fosse da rifare, annullando la sanzione, la perdita di anzianità di due anni, che gli era stata inflitta a novembre del 2022 con l’accusa di avere tenuto un «comportamento gravemente scorretto, in violazione dei doveri di imparzialità e correttezza» nei confronti dei giudici della Suprema Corte. L’assoluzione era stata chiesta sia dalla procura generale, rappresentata dall’allora sostituto pg Pasquale Fimiani, sia dalla difesa di Ferri, l’avvocato Luigi Panella.
«Sono venuti a mancare i due protagonisti della vicenda, Berlusconi e Franco, e non si rinviene agli atti alcun altro riferimento a persone a conoscenza dei fatti alcuna altra prova dichiarativa che possa essere assunta in questa sede», aveva spiegato il pg. «La rivalutazione non può che essere compiuta sulla base degli stessi fatti che la Cassazione ha analizzato. Prendendo atto della decisione della Cassazione e del fatto che non ci sono più gli altri due protagonisti della vicenda né altri spunti investigativi da compiere, si deve concludere con una richiesta di assoluzione per essere rimasto escluso l’addebito», aveva poi concluso. Richiesta che il collegio della sezione disciplinare del Csm, presieduto dal vicepresidente, Fabio Pinelli, aveva accolto.
E sempre a marzo dello scorso anno era stato assolto «per essere rimasti esclusi gli addebiti disciplinari» anche dall’altro procedimento, aperto nei suoi confronti per aver preso parte all’incontro all’hotel Champagne di Roma, il 9 maggio del 2019, con Luca Palamara, l’ex dem Luca Lotti e cinque membri togati del Csm. La decisione, in questo caso, era stata presa per l’inutilizzabilità, stabilità dalla Camera, delle intercettazioni estratte dal trojan inoculato sul telefonino di Palamara e che la procura generale voleva utilizzare ugualmente in aperta violazione delle guarentigie parlamentari.