Se la priorità per il governo è difendere i confini, allora ha comunque fallito. La storia del naufragio di Steccato di Cutro, nel quale hanno perso la vita almeno 72 persone in fuga da fame e guerra, comunque la si guardi è una catastrofe. Soprattutto per un governo che, in tema di contrasto all’immigrazione clandestina, pretende di fare il duro e puro. Lo è dal punto di vista umanitario, con l’inceppamento - si vedrà per quali ragioni - della macchina dei soccorsi e lo è anche se si vuole considerare quella della notte tra il 25 e il 26 febbraio come un’operazione di law enforcement, un’operazione di polizia. Perché un barcone, indipendentemente da cosa trasportasse, è stato lasciato libero di arrivare a ridosso della costa. E che fosse carico di persone - come era e com’era prevedibile che fosse -, di droga o di armi, nessuno ha fatto niente per raggiungerlo e verificare la situazione.

Basterebbe questo per classificare la vicenda nella categoria “figuracce”. Ma di mezzo ci sono persone che hanno perso la vita, ad una manciata di metri dalla spiaggia, persone che avrebbero potuto essere salvate. E per capire come si sarebbe dovuto intervenire basta affidarsi alle norme. Il punto di partenza è sempre lo stesso: la comunicazione di Frontex alle 23.03 di sabato 25 febbraio. Una comunicazione eloquente, spiega Francesco Verri, tra i legali del team che segue le famiglie di vittime e superstiti. Perché? «Che a bordo della nave ci fossero altre persone, oltre a quella avvistata sul ponte, è una certezza. Hanno segnalato che i boccaporti erano aperti e non si naviga a febbraio, alle 23, con i boccaporti aperti. Hanno comunicato che non si vedevano salvagenti a bordo e che c’era una significativa risposta termica dagli oblò. Per ipotizzare la presenza di persone non è necessario salire a bordo». Poco dopo le 23, dunque, le autorità marittime sono informate. E secondo le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, le imbarcazioni che trasportano migranti vanno considerate in condizioni di pericolo sin dall’inizio del viaggio. Ma non solo: Frontex avvista la nave nel corso dell’operazione Themis. Che ha un fine specifico: controllo delle frontiere, sì, ma soprattutto ricerca e salvataggio, definite attività «cruciali». «Questo - spiega Verri - descrive il senso della presenza di Frontex lì». Il che vuol dire che nel momento in cui segnala la presenza di una nave, l’attività è anche - e soprattutto - un evento di ricerca e salvataggio.

Verri e i suoi colleghi - Vincenzo Cardone, Mitja Gialuz e Luigi Li Gotti - sono da giorni a caccia delle fonti normative. E uno dei dati più importanti è fornito dall’articolo 6 del decreto del ministero dell’Interno del 14 luglio 2003 (disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina), che stabilisce cosa si fa quando è in corso un’operazione di polizia, ma ci sono elementi indicativi di un rischio per le persone. «Questa norma, ancora in vigore, - spiega Verri - ci dice che le operazioni di law enforcement (come quella messa in atto quella notte dalla Guardia di Finanza, ndr) e quelle di search and rescue vanno di pari passo. Il fatto che sia in corso un’operazione di polizia non esclude che ci si debba preoccupare anche degli aspetti legati alla sicurezza. I pochi fatti noti, messi in relazione a queste norme, danno la soluzione alla domanda delle domande: è stato fatto tutto quello che si poteva fare? Noi non vogliamo anticipare le conclusioni, ma l’apparato di norme a disposizione, in relazione al caso, autorizzano degli interrogativi».

Il regolamento Ue dice una cosa importante: quando è in corso un’operazione marittima, le unità impegnate devono valutare il caso. Ovvero se si tratti di una situazione di incertezza, allarme o pericolo. Su che base? Il numero di persone a bordo rispetto al natante, la presenza di personale qualificato al timone e le condizioni meteomarine. Accoppiando questo tipo di test alla situazione di fatto e alle indicazioni del Consiglio di Europa, è possibile dire che una valutazione non c’è stata. O meglio, secondo la relazione depositata dalla Guardia Costiera in procura, la valutazione è stata del tutto errata. Perché nonostante la segnalazione, da parte di Frontex, della significativa risposta termica e di una telefonata satellitare verso la Turchia, il Centro di coordinamento della Guardia Costiera di Roma (Mrcc) ha comunicato ai colleghi di Reggio Calabria che «non si evidenziano elementi riconducibili al fenomeno migratorio». Su che base? Non è dato saperlo. Anche perché, nella stessa comunicazione, l’Mrcc segnala che «risulta possibile che ci siano altre persone sottocoperta». Un’ipotesi tutt’altro che peregrina considerando che la costa calabrese - e nella provincia di Crotone in particolare - è da sempre meta di disperati a bordo di carrette malconce.

Ma non solo: il 24 febbraio la Guardia Costiera ha aperto un evento Sar dopo un segnale di mayday, segnalazione della quale poi non si ha avuto più notizia. Per la Guardia Costiera, come riportato da Domani, non si può escludere che si trattasse della stessa nave poi spezzata in due dalle onde. Dunque si trattava di una situazione quantomeno di incertezza, che andava investigata adeguatamente, cosa che non è stata fatta. E anche con una sola persona in mare a bordo di una nave col mare forza 4, non era necessario intervenire per metterla in salvo, dal momento che anche le vedette della Guardia di Finanza sono rientrate per le condizioni avverse? Ma il problema è anche a valle. Solo alle 4.20 la Capitaneria di Porto di Crotone sarebbe stata avvertita dai Carabinieri che la «Guardia di finanza aveva fornito loro l'informazione di un'imbarcazione che trasportava presumibilmente migranti irregolari e che la vedetta Gdf stava rientrando per avverse condizioni meteo». A quell’ora il naufragio è già avvenuto. E gli uomini della Guardia Costiera arrivano, comunque, alle 5.35. Oltre un’ora dopo. Quando ormai c’era solo da fare la conta delle vittime.