La Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato da 17 migranti contro l’Italia in relazione a un’operazione di salvataggio marittimo avvenuta nel novembre del 2017 nel Mediterraneo centrale.

Il caso – denominato “S.S. e altri c. Italia” – riguardava un gommone partito dalla Libia, con a bordo circa 150 persone, che tentava di raggiungere le coste europee. Secondo i ricorrenti, il Centro di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (MRCC), avendo avviato le operazioni di salvataggio, avrebbe di fatto permesso alla guardia costiera libica di prendere il controllo dell’azione, esponendoli così a trattamenti inumani e degradanti.

La CEDU ha però ritenuto all’unanimità che non sussistano i requisiti per riconoscere all’Italia l’esercizio di giurisdizione extraterritoriale, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti umani.

In particolare, i giudici hanno osservato che l’area del soccorso non era sotto il controllo effettivo dell’Italia; il capitano e l’equipaggio della nave libica agirono autonomamente; l’inizio delle operazioni da parte dell’MRCC di Roma non configura, da solo, una giurisdizione italiana su quei migranti.

I migranti avevano denunciato una pratica sistematica di “respingimento per procura”, portata avanti dall’Italia in accordo con l’Unione Europea, ma la Corte ha stabilito che non vi fossero elementi sufficienti per considerare responsabile lo Stato italiano per ciò che accadde dopo l’intervento libico.