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Silvio Berlusconi è stato l’imputato ombra del processo trattativa, ma anche indagato per oltre un quarto di secolo come mandante delle stragi mafiose. Si tratta dell’accusa più grave e infamante che abbia mai ricevuto. Ovviamente non è stata trovata una sola mezza prova utile per poter chiedere un rinvio a giudizio, ma il solo fatto di aver aperto le indagini, dà la stura al dubbio che lui possa essere stato addirittura la vera mente degli attentati.
Poco importa capire il nesso logico con i vari teoremi che di volta in volta vedono prima la Cia, poi la P2, dopodiché l’eversione nera, Gladio e di nuovo Berlusconi. Teoremi che nel complesso confliggono con la vera natura della mafia corleonese, la quale – come indicò Giovani Falcone – non solo non amava essere eterodiretta, ma aspirava a sottomettere il potere economico e politico.
La prima manipolazione mediatica che ha creato il nesso addirittura con la strage di Via D’Amelio, è stata nel 2000 quando il giornalista Sigfrido Ranucci ha trasmesso su Rainews una parte dell’intervista dove Borsellino parlava di Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. In questo contesto, è nata una prima polemica. Paolo Guzzanti ha scritto un articolo di fuoco contro Ranucci, osservando che l’intervista mandata in onda dalla Rai fosse falsificata all’evidente scopo di attribuire alle dichiarazioni di Borsellino significati diversi da quelli espressi dall’originale. A quel punto, sempre nel medesimo articolo, Guzzanti ha commentato: «Qualcuno l’ha manipolata. Se non è stata la Rai, chi ci ha messo le mani?». Ne è scaturita una querela da parte di Ranucci.
I giudici, però, hanno assolto Guzzanti, ma nel contempo hanno discolpato Ranucci di essere stato lui l’autore della manipolazione, che è «obiettivamente vero, nei suoi elementi essenziali, il fatto che l’intervista mandata in onda da Rainews, è frutto di una alterazione». E infatti, chi ha ascoltato quell’intervista alterata, sembrava che Borsellino stesse indagando su Berlusconi. Ovviamente non è così. Tutt’altro. Ma tanto basta per creare la prima suggestione. E come si sa, la verità dei fatti non conta. Oramai nell’immaginario collettivo risulta che Borsellino mise il naso sui presunti legami di Berlusconi con la mafia. E che guarda caso, poi è stato ucciso.
Tra riaperture e inevitabili archiviazioni, siamo arrivati a ben cinque inchieste su Berlusconi come mandante delle stragi. Nel 1998 il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta dispose con articolato provvedimento l’iscrizione nel registro degli indagati di Berlusconi e Marcello Dell’Utri (sotto le sigle di Alfa e Beta) in base ad una serie di risultanze che delineavano una notizia di reato a loro carico, quali mandanti delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Poco prima, la Procura di Firenze aveva disposto l’iscrizione dei due sotto le sigle “Autore 1” e “Autore 2”, in un procedimento relativo a fatti di strage commessi a Roma, Firenze e Milano dal maggio 1993 all’aprile 1994. Ovviamente archiviate. Ma la procura di Firenze non si è arresa ed è arrivata, ad oggi, alla quinta inchiesta.
Per capire che si tratta di un’ipotesi che rasenta il fallimento logico, basterebbe attenersi ai fatti. Nel biennio delle stragi del ’92 e ’93, Forza Italia ancora non era nata. Berlusconi non poteva, come ha detto anche Riina nelle intercettazioni, essere avvicinato visto che non aveva nessun potere politico.
“Era solo una palazzinaro!”, ha detto Riina intercettato al 41bis. L’unico contatto era il pagamento del cosiddetto “pizzo”. Lo stesso Riina parla della minaccia di attentati alla ex Standa e i ripetitori in Sicilia. Non solo. Durante il processo Borsellino Ter, sia Giovanni Brusca che Angelo Siino, Tullio Cannella e Malavagna hanno parlato di un consistente sostegno di voti fornito da Cosa nostra al partito di Forza Italia creato da Berlusconi in occasione delle elezioni politiche del 1994. Nessuno di loro ha fatto riferimento a contatti tra quell’organizzazione e Berlusconi già nel 1992. Anzi, le dichiarazioni rese dai predetti pentiti e soprattutto da Brusca, Siino e Cannella sono state assai puntuali nel far riferimento al tentativo di Cosa nostra nel corso del 1993 di promuovere la nascita in Sicilia di un movimento politico indipendentista, una sorta di Lega del Sud, che si affiancasse a quella del Nord nel richiedere la creazione di una federazione di Stati che sostituissero quello unitario.
Solo agli inizi del 1994, invece, tale progetto sarebbe stato accantonato per sostenere la nuova formazione politica promossa da Berlusconi. Ma sappiamo pure come è andata. La stessa Forza Italia si è poi separata dalla coalizione con la Lega Nord, da quel movimento, cioè, il cui collante - stando alle emergenze sulle leghe meridionali - avrebbe dovuto essere proprio il collegamento con Cosa nostra. Sappiamo che il governo presieduto da Berlusconi, cadrà dopo pochi mesi. Il fallimento logico del teorema che vede Berlusconi e Dell’Utri come mandanti delle stragi è evidente. Totò Riina odiava a morte Berlusconi. Soprattutto perché fu il suo governo a rendere ordinario il 41 bis. Un profondo odio che si evince dalle intercettazioni di quando era al carcere duro.
Gli augurava la morte ogni giorno. Ha detto che se fosse uscito dal carcere, la prima cosa sarebbe stata quella di ammazzarlo. Alla fine Berlusconi è riuscito a seppellire anche lui. Ora però è morto. Fino a quando una certa giustizia non smetterà di inseguire il terrapiattismo giudiziario, rimarrà l’imputato ombra anche dall’oltretomba.