Non basta affittare un appartamento a chi si prostituisce per finire nei guai: lo stabilisce la Cassazione, con una sentenza destinata a far discutere e certamente di notevole rilievo. La Terza sezione penale ha annullato, con rinvio, la condanna per favoreggiamento della prostituzione inflitta a un imprenditore di Lamezia terme attivo nel settore dell’intrattenimento notturno.

L’uomo era stato arrestato nel luglio 2015 con le accuse di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. In primo grado, il Tribunale di Lamezia aveva riconosciuto solo l’ipotesi di favoreggiamento, condannandolo a un anno e quattro mesi di reclusione, oltre che all’interdizione dai pubblici uffici. La condanna era stata confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro. Tuttavia, la difesa, affidata all’avvocato Armando Chirumbolo, ha impugnato davanti alla Cassazione la sentenza di secondo grado, e ha ottenuto la pronuncia che cambia radicalmente l’esito del giudizio.
Secondo l’accusa, l’imprenditore avrebbe concesso in locazione alcuni appartamenti, ubicati nelle località Sant’Eufemia e Ginepri di Lamezia Terme, consapevole che le affittuarie esercitavano la prostituzione. In cambio, l’imputato riceveva somme giornaliere come corrispettivo. Ma per la Suprema corte, questo non basta a configurare il reato.


Le motivazioni


I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso della difesa, richiamandosi a consolidati orientamenti giurisprudenziali secondo cui “non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la cessione in locazione di un appartamento, pur nella consapevolezza che ivi si eserciterà la prostituzione, ove difettino prestazioni accessorie che concretizzino una oggettiva agevolazione del meretricio”.

Inoltre, viene precisato che “la locazione di un immobile a una prostituta a un canone maggiorato non integra, per ciò solo, il delitto di favoreggiamento della prostituzione, in quanto non incide favorevolmente sullo svolgimento di detta attività, potendo, invece, costituire un maggiore ostacolo all’ottenimento dell’abitazione”.
Tradotto: non è sufficiente che il locatore sappia dell’attività svolta nell’immobile da chi lo affitta, né che il canone sia superiore alla media, per far scattare il reato. Deve esserci un contributo concreto, attivo, all’attività di prostituzione – come pubblicità, servizi, assistenza logistica –, elementi che in questo caso non sono emersi.