L’ALLARME

L’ultimo suicidio, è di ieri mattina presto nel carcere di Monza. Il pomeriggio prima un altro detenuto si era tolto la vita a Rimini. ASPETTANDO LA RIFORMA

Il bel volto di Donatella ha scosso le coscienze, così come le parole del magistrato di sorveglianza che, con coraggio, ha accusato il sistema penitenziario per il suicidio della giovane a Verona. Ma dietro quel volto c’è la sofferenza di tanti uomini e donne che quotidianamente lottano nelle carceri per sopravvivere. Molti non ce la fanno e si tolgono la vita. Le statistiche di quest’anno sono impietose e quelle di queste ultime settimane sono drammatiche. Fotografano una situazione che sembra non trovare una via d’uscita. La settimana scorsa il Dap ha annunciato la messa a punto di nuove linee guida che puntano a rafforzare il carattere permanente delle attività di prevenzione, con una task force multidisciplinari con il compito di monitorare e valutare le situazioni a rischio. Bastera?

Dalle pagine di questo giornale quotidianamente seguiamo, segnaliamo, raccogliamo le denunce del Garante nazionale dei detenuti, di quelli regionali e locali, di associazioni, avvocati, famiglie e sindacati della Polizia penitenziaria che chiedono da tempo a gran voce un intervento urgente per evitare questa strage silenziosa, ma non per questo meno tragica. In attesa della riforma del processo penale, nella quale non sono stati recepiti i punti indicati dalla commissione Ruotolo, sollecitano un decreto che preveda misure deflattive e un aumento degli organici. Marta Cartabia, già da presidente della Corte costituzionale, aveva espresso opinioni molto chiare sul sovraffollamento e sul disagio della popolazione carceraria. Posizione ribadita da ministra della Giustizia quando all’inizio dell’anno disse: «Da gennaio il carcere sarà la mia priorità». Ed ancora in commissione Giustizia, illustrando la riforma precisò: «La certezza della pena non è la certezza del carcere». E aggiunse che la detenzione in carcere «per gli effetti desocializzanti che comporta, deve essere invocata come extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere». Concetto riaffermato in un question time alla fine di giugno di quest’anno: «L’attuazione della delega per la riforma del processo penale, ha una parte importante che riguarda la sostituzione delle pene detentivi brevi, dove per brevi si intende fino a 4 anni. Si prevede la sostituzione con semilibertà, detenzione domiciliare, pena pecuniaria. Le pene fino a 4 anni riguardano circa il 30 per cento della popolazione carceraria».

Purtroppo si tratta di un film già visto. Ai tempi della riforma Orlando, quando mancava il via libera ai decreti legislativi per l’attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario, l’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni si dimise e tutto si vanificò. Il governo Conte uno approvò la riforma snaturandola dei contenuti decisivi. Ma anche con il governo Conte due non ci fu alcun cambiamento. Tutto rimase immutato e la pandemia, fu la scintilla che fece letteralmente scoppiare delle carceri italiane, tanto da provocare delle rivolte senza precedenti con tanto di morti e pestaggi. Come nel più classico gioco dell’oca siamo al punto di partenza: la situazione nelle carceri è esplosiva, si registrano suicidi quasi quotidianamente e si pensa alla riforma, quando basterebbe un decreto: se non è urgenza questa.