Inspiegabili ritardi, nonostante il target – la nave poi colata a picco con il suo carico di anime – fosse stato intercettato dai radar in tempo utile per evitare la tragedia. Tanto che almeno cinque ore prima della tragedia la Guardia Costiera classificò la presenza di quella nave nelle acque calabresi come «evento migratorio». È quanto si legge nelle carte con le quali  la procura di Crotone ha iscritto sul registro degli indagati tre militari del reparto operativo aeronavale della Guardia di Finanza di Vibo Valentia e alcuni ufficiali della capitaneria di porto. Si tratta di di Alberto Lippolis, comandante del Roan della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, Antonino Lopresti, luogotenente della Guardia di Finanza di Vibo Valentia e Nicolino Vardaro, comandante del Gruppo Aereonavale della Guardia di Finanza di Taranto, indagati con l’ipotesi di naufragio colposo, rifiuto ed omissione di atti d'ufficio. Ma ci sono almeno altre tre persone indagate, per il momento coperte da omissis, con lo scopo di vederci chiaro sulla catena di soccorsi del tragico sbarco del 26 febbraio scorso a Steccato di Cutro, nel quale hanno perso la vita almeno 94 persone. E proprio per tale motivo, il pm Pasquale Festa e il procuratore Giuseppe Capoccia hanno disposto alcune perquisizioni nelle sedi locali dei due corpi e nella sede del Reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia, competente su tutto il territorio regionale, sequestrando documenti e telefonini, per capire cosa sia successo nelle ore immediatamente precedenti la tragedia.

Passati al setaccio anche gli uffici di Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, la prima ad aver avvistato il caicco che poi si è schiantato su una secca a pochi passi dalla costa. Una tragedia evitabile, con ogni probabilità, dal momento che Frontex, già alle 21.26 del 25 febbraio, aveva appuntato la presenza di una «possibile nave di migranti» con il portello anteriore aperto, intercettata mentre effettuava una chiamata satellitare verso la Turchia e con una significativa risposta termica. Il naufragio è avvenuto alle 4 di domenica 26 febbraio, ma la Guardia Costiera ha raccolto i superstiti in mare, attraverso un’imbarcazione, soltanto alle 6.50, nonostante il porto si trovi a poche miglia di distanza, a soli 10 minuti di navigazione. Un dato che conferma il racconto dei sopravvissuti - rimasti in mare circa tre ore prima di essere salvati - e riportato nella relazione della Guardia Costiera, da incrociare con un’altra circostanza: le pattuglie via terra sono arrivate in spiaggia alle 5.35, un’ora e 35 minuti dopo il naufragio.

La ricostruzione della procura

Secondo quanto si legge nel decreto di sequestro, alle ore 22.26 del 25 febbraio l'aereo "Eagle 1" di Frontex, impegnato nel servizio di controllo delle frontiere esterne dell'Unione Europea, individuava un "target" sospetto diretto verso le coste calabresi, inoltrando la relativa segnalazione all'ufficio competente a Varsavia. Alle 23.03, dunque, la segnalazione viene inoltrata all’International coordination centre di Pratica di Mare, nonché al Viminale e alla Guardia Costiera, comunicando le coordinate del caicco, la rotta e la possibile presenza di persone sottocoperta, in assenza di giubbotti di salvataggio. Frontex comunica inoltre la rilevazione di una telefonata satellitare verso la Turchia, i portelloni aperti e una significativa risposta termica dai boccaporti. Da questo momento, dunque, tutti sono a conoscenza della presenza della nave, tant’è che il Comando Generale della Guardia Costiera, alle ore 23.30 circa, predispone un fascicolo sull’evento in corso, classificandolo come "evento migratorio" e informando la Capitaneria di Reggio Calabria senza particolari indicazioni. In una telefonata partita alle 23.49 tra l'operatore del Roan della Guardia di Finanza di Vibo Valentia e il capo turno della sala operativa della Guardia Costiera, registrata sul server del Mrsc di Reggio Calabria, l'operatore del Roan, su indicazione di Lo Presti, informa l'operatore della capitaneria di porto dell'impiego di una motovedetta. Durante la conversazione, l’operatore avvisa della possibilità di allertare una unità, ricevendo rassicurazioni da parte dell'operatore della Guardia di Finanza.

Nonostante quanto riferito alla sala operativa della capitaneria di porto e attestato da Lo Presti dall'annotazione redatta dal comandante della vedetta, la motovedetta, lungi dall'essere in navigazione alla ricerca del target, si trova in realtà «all'interno del porto di Crotone». Stando alla relazione di servizio, «valutati i dati cinematici al momento in possesso e nelle more di ricevere un possibile ed eventuale aggiornamento della posizione del target così da indirizzare e restringere l'area di ricerca, la vedetta rientrava nel porto vecchio per eseguire una puggiata operativa finalizzata al rifornimento carburante e vi rimaneva fino alle ore 02.20 del 26 febbraio».

Secondo la procura, però, «le modalità di redazione del giornale di chiesuola – ovvero il registro sul quale vengono annotati tutti gli elementi relativi alla navigazione - inducono a ritenere che le circostanze presenti alle pagine 37, 38, 39 e 40, verificatesi in momenti antecedenti al disastro, quindi in una situazione non di emergenza, siano state annotate successivamente ai fatti».

«Appare ragionevole ritenere – scrive ancora la procura - che a causa dell'impossibilità di impiegare la vedetta veniva richiesta al Gan di Taranto, comandato da Nicolino Vardaro, l'impiego del pattugliatore "Barbarisi" distaccato il giorno prima dal porto pugliese per prestare servizio a Crotone». Vardaro, alle 23.06, viene informato della necessità di impiegare il pattugliatore e dell’arrivo della nave attorno alle 3. Ciononostante, «impartiva l'ordine di salpare alle ore 02.10, solo dopo aver ricevuto alcuni solleciti da Lo Presti», iniziando la navigazione alle 2.30.

Il radar ignorato

Alle ore 03.50, la Sala Operativa del Roan di Vibo Valentia acquisce tramite la rete radar costiera la posizione di una nave, a quel punto a circa due miglia da Le Castella, «non immediatamente riconducibile all 'imbarcazione segnalata da '*Frontex"». Dall'analisi delle tracce del radar, «emerge che il natante oggetto di segnalazione era stato agganciato, per la prima volta, alle ore 03.34.28 a distanza di 6,329 km dalla costa di località Le Castella di Isola Capo Rizzuto e di 13,519 Km dalla Foce del Torrente "Tacina" (luogo in cui avverrà il naufragio) e veniva monitorato per circa 38 minuti, con ultimo aggancio avvenuto alle ore 04.12.10 ad una distanza dalla foce del torrente 'Tacina" di 3,643 Km».

Successivamente all'inversione di rotta delle navi della Finanza, tra le 03.58.03 e le 03.59.38, quindi successivamente anche all'orario indicato dal Lippolis e Lo Presti, intercorre un'ulteriore conversazione tra l'operatore della sala operativa del Roan di Vibo e l'operatore della sala operativa dell'Mrscdi Reggio Calabria (sempre captata sui server della Cp) durante la quale, sebbene il target sia monitorato da circa 24 minuti, l'operatore di sala riferisce che «dal radar al momento non battiamo nulla».

Nessuna traccia delle conversazioni

La procura, nel tentativo di ricostruire la vicenda e comprendere «le ragioni sottese a simili scelte operative, al ritardo accumulato nell'operazione della Gdf e alla mancata comunicazione della posizione del natante alla Cp» ha tentato di acquisire le comunicazioni di servizio intercorse tra gli operatori della Guardia di Finanza impegnati nel servizio quella notte, «ma sui server in uso alla Guardia di Finanza non veniva ritrovata alcuna traccia audio». Da qui il sequestro dei telefonini, dal momento che gli stessi operatori «hanno utilizzato per le comunicazioni anche i telefoni privati o di servizio». Inoltre, nelle relazioni di servizio «non vengono esplicitate le ragioni di simili scelte operative procedendosi esclusivamente all'elencazione delle circostanze già emergenti dai documenti ufficiali».

Le norme ignorate

Ad essere coinvolti nelle indagini, dunque, sono anche i due corpi dello Stato che il governo ha tentato in ogni modo di scagionare, sin dalle primissime ore. La Guardia di Finanza, subito dopo la segnalazione di Frontex, era uscita in mare per un’operazione di polizia, senza tenere in considerazione - come evidenziato dai legali delle famiglie delle vittime - «l'articolo 7 del Decreto del ministero dell'Interno 14.7.2003, secondo cui “nell’assolvimento del compito assegnato l’azione di contrasto è sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona”». Il che significa, dunque, che la tragedia si sarebbe potuta evitare «assegnando a questo tragico evento i crismi della singolarità nel confronto con le tante tragedie e naufragi, costate la perdita di migliaia di vite umane, e il salvataggio eroico, da parte dei nostri Corpi, di un numero ancor più grande di vite», avevano evidenziato i legali in un lungo documento depositato in procura. A causa delle condizioni avverse del meteo, però, le Fiamme Gialle erano rientrate in porto, abbandonando l’operazione - e, dunque, anche il contrasto ad un possibile reato -, avvisando la Guardia Costiera. Nessuno è, però, più uscito in mare, nonostante la presenza delle cosiddette “inaffondabili”, imbarcazioni autoraddrizzanti capaci di operare anche in condizioni meteomarine proibitive, come quelle di quella notte. La motovedetta della Guardia costiera intervenne,dunque, circa sei ore dopo l'avvistamento e solo a seguito dell'allarme lanciato da alcuni pescatori che si trovavano sulla spiaggia di Steccato, dove ormai erano affiorati i primi corpi.

I legali delle famiglie delle vittime

«Siamo sempre stati convinti che il procedimento per i mancati soccorsi fosse in ottime mani - commenta al Dubbio Francesco Verri, componente assieme ai colleghi Luigi Li Gotti, Mitja Gialuz e Vincenzo Cardone del team legale che segue i familiari delle vittime -. Le mani di magistrati che cercano la verità senza guardare in faccia nessuno. Oltre cento morti reclamano questa verità e le indagini stanno procedendo spedite verso il traguardo. Avremo un processo per la strage di Steccato di Cutro, questo è poco ma sicuro. Lo Stato ha responsabilità evidenti e la procura di Crotone le accerterà per portare chi ha sbagliato davanti al giudice».