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GIOVANNI CASTELLUCCI AMMINISTRATORE DELEGATO AUTOSTRADE
Quanto accaduto all’ingegnere Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia (Aspi), nel processo per la strage del bus precipitato il 28 luglio del 2013 da un viadotto dell’A16 Napoli- Canosa, e che provocò la morte di 40 persone, può senza ombra di dubbio essere portato ad esempio delle tante “particolarità” che caratterizzano in Italia il processo penale. Particolarità che, ovviamente nel rispetto delle vittime, meriterebbero di essere analizzate con lucidità e senza preconcetti. Castellucci, dopo che la Cassazione venerdì scorso ha reso definitiva la sua condanna a sei anni di reclusione per disastro colposo ed omicidio colposa, si trova ora nel carcere milanese di Bollate. Carcere da cui il 67enne ingegnere non potrà uscire, con una misura alternativa, prima di un paio di anni.
La vicenda è nota. Il pullman quel giorno trasportava una comitiva di ritorno da una gita alle terme di Telese e al santuario di Padre Pio a Pietrelcina. Il gruppo era partito da Pozzuoli pagando appena 150 euro per il viaggio, il vitto ed il soggiorno ad un tour operator campano. Superato il comune di Monteforte Irpino, il mezzo, guidato dal fratello del proprietario dell’agenzia di viaggi, cominciò a sbandare vistosamente per la rottura dell’impianto frenante, urtando così le auto lungo la carreggiata.
Nel disperato tentativo di bloccarne la corsa, l’autista si affiancò alle barriere protettive del viadotto Acqualonga in provincia di Avellino che però cedettero facendolo precipitare nel vuoto da un’altezza di circa 40 metri. Solo dieci passeggeri si salvarono miracolosamente. Le indagini accertarono che il pullman aveva percorso oltre un milione di chilometri e circolava con un certificato di revisione taroccato.
In primo grado, a gennaio 2019, il Tribunale di Avellino condannò il titolare dell’agenzia di viaggi, il dipendente della Motorizzazione civile di Napoli che aveva predisposto la falsa revisione, e i dirigenti e funzionari del tronco dell’A16. Castellucci, a cui fra l’altro era stata contestata la violazione delle norme che garantiscono la circolazione autostradale in condizioni di sicurezza ( per avere omesso di provvedere alla riqualificazione dell’intero viadotto Acqualonga con la sostituzione delle barriere di sicurezza, ndr), venne assolto da tutte le imputazioni. Nel processo di appello, iniziato due anni dopo, la procura generale di Napoli, sul ricorso di quella di Avellino, puntò tutto sulla sussistenza del nesso di causalità tra l’omessa sostituzione delle barriere e l’incidente e quindi sulla responsabilità di Castellucci in quanto amministratore delegato. Tesi accolta dalla Corte d’appello che condannò così Castellucci a sei anni di reclusione per omicidio e disastro colposo.
In Cassazione, nuovo colpo di scena: la procura generale, discostandosi dai colleghi di merito, sul ricorso di Castellucci all’inizio del mese aveva chiesto un nuovo processo d’appello, escludendo la configurabilità del reato di disastro colposo. Di diverso avviso, come detto, la Cassazione che ha confermato in toto la sentenza di secondo grado.
A parte l’annoso tema della non appellabilità delle sentenze di assoluzione, un altro aspetto “particolare' è sicuramente il condizionamento mediatico che ha accompagnato questo processo. Alla lettura della sentenza di primo grado i presenti in aula erano arrivati ad aggredire verbalmente il giudice Luigi Buono, accusandolo di essere un “venduto”. Si scatenò subito una violentissima polemica “giustizialista”, ripresa da tutti i media e alimentata dai due vicepremier dell’epoca: Luigi Di Maio e Matteo Salvini. «Il grido di dolore dei familiari lo capisco e mi fa incazzare», disse Di Maio, auspicando per Castellucci, colpevole per antonomasia e accusato di aver lucrato sulla pelle delle vittime con i tagli alle manutenzioni, delle pene esemplari.
Quest’ultimo, come era emerso dal dibattimento, aveva però stanziato i fondi per la sostituzione delle barriere su oltre 2200 km di carreggiata, comprendenti anche quelle presenti sul viadotto in questione. Nella fase esecutiva, che difficilmente poteva competere ad un amministratore delegato di una società che gestisce 3000km di rete autostradale, si era deciso di non inserire la barriera sul tratto di Acqualonga tra quelli da rinnovare perché valutata adeguata e sicura. Il progettista, si accertò, aveva infatti valutato in autonomia di non sostituirla ritenendola efficiente.
L’ultimo aspetto di questo elenco di particolarità riguarda infine l’esecuzione della pena. Castellucci è entrato in carcere domenica scorsa, a quasi dodici anni dai fatti e sei dalle sue dimissioni da ad di Aspi. Se la pena del condannato deve tendere alla sua rieducazione deve arrivare anche in tempi “ragionevoli”. Altrimenti sembra solo una vendetta postuma nei confronti di un ex manager potente. E non è certo un bene per la giustizia.