Da una parte le affermazioni, più o meno rassicuranti, di Carlo Nordio: «Ci sarà una riforma della giustizia in tre tempi, con la prima fase destinata a realizzarsi, credo di poterlo dire con ragionevole certezza, già la prossima settimana». Dall’altra parte, il dato concreto: ieri in Consiglio dei ministri si è discusso con estrema celerità di tutt’altra riforma “giudiziaria”, ossia delle modifiche-lampo al codice rosso.

Testo formalmente condiviso dallo stesso guardasigilli, ma in realtà scritto da altri due ministri: Eugenia Roccella (Famiglia e Pari opportunità) e Matteo Piantedosi (Interno). Tutto secondo uno schema consolidato. Dopo l’orribile delitto commesso da Alessandro Impagnatiello, il barista che ha ucciso a coltellate la compagna Giulia Tramontano e il figlio che la donna aveva in grembo, serviva un segnale. Ma se si può essere d’accordo sull’idea di perfezionare in tutti i modi possibili le norme contro violenze e maltrattamenti in famiglia, non può passare inosservato l’ennesimo scarto fra misure garantiste, teorizzate ma tenute in sospeso, e provvedimenti restrittivi ispirati alla cronaca nera del momento, ai quali il governo Meloni assegna ancora una volta una corsia preferenziale (era stato così anche per il decreto Rave). Una diversità di approccio che sembra rivelare un’ispirazione garantista non del tutto sincera, soprattutto se accostata al piglio risoluto sfoggiato ogni qual volta c’è da stringere i bulloni del diritto penale.

Così la giornata che avrebbe dovuto celebrare il sospirato sì all’ormai mitico pacchetto Nordio (intercettazioni, misure cautelari, interrogatori e avvisi di garanzia, abuso d’ufficio e traffico d’influenze) si risolve con il rinvio alla settimana prossima del battesimo, e il varo a Palazzo Chigi del pacchetto anti-violenze. Rispetto al primo dossier, ha pesato anche il margine troppo compresso fra l’ultima riunione tenuta ieri mattina dal guardasigilli con i suoi esperti e il pur sempre necessario vaglio del Dagl, cioè il Legislativo della Presidenza del Consiglio. Passaggio che d’altra parte per il ddl Roccella-Piantedosi si è ridotto a uno sguardo fugace.

Proviamo ad andare con ordine. Che la scena sarebbe stata tutta riservata alla risposta all’orrore per il caso Tramontano, lo si comprende di primissima mattina, quando è proprio il ministro della Giustizia a confermare l’arrivo del “codice rosso bis” in un evento alla Luiss. Poche ore dopo lo ribadirà al question time di Montecitorio, in risposta a un’interrogazione della 5S Stefania Ascari: «Consideriamo la materia estremamente prioritaria». Sempre in mattinata, il responsabile Giustizia e deputato di Azione Enrico Costa annuncia un emendamento che seppellirebbe gli ultimi residui della prescrizione targata Bonafede, con ripristino immediato della disciplina Orlando: «Ma tanto il governo darà parere negativo». Di prescrizione, in effetti, non si parla per ora a via Arenula e si discute senza fretta in Parlamento. Nel pomeriggio, il question time con le ricordate rassicurazioni di Nordio (delle quali si dà più ampiamente conto in altro servizio, ndr). Nella replica del ministro alle interrogazioni (anche qui firmate da Costa) va segnalato tra l’altro il passaggio sulla legge delega (in gran parte ancora da tradurre in decreti attuativi) di Cartabia dedicata a Csm e magistratura: quella riforma, garantisce sempre il guardasigilli, «resta pienamente condivisa da questo governo». Si era spinto persino oltre il sottosegretario, e plenipotenziario di Meloni sulla giustizia, Andrea Delmastro, che in un’intervista al Giornale aveva parlato di «compromessi al ribasso da scongiurare» sulle toghe. Benissimo: ma l’ennesimo rinvio del “decollo”, seppure di pochi giorni, favorisce un clima a metà fra disillusione e svilimento. Da una parte le opposizioni che criticano per esempio lo stop chiesto dall’esecutivo sull’abuso d’ufficio anche alla commissione Giustizia di Montecitorio: è sempre Costa a parlare di «stato confusionale». Sono per una volta d’accordo con lui anche Stefania Ascari, Federico Cafiero de Raho, Valentina D’Orso e Carla Giuliano, cioè la delegazione 5S della commissione Giustizia. In realtà il viceministro Francesco Paolo Sisto invita i deputati a lasciare «un margine in più per una riflessione governativa». Significa non adottare subito il testo base e attendere l’incardinamento alla Camera della proposta Nordio. Si punterà, da parte di via Arenula, sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio, il che vorrebbe dire privilegiare, alla Camera, il testo dell’azzurro Pietro Pittalis, che ha quella matrice. Anche se l’obiettivo fosse raggiunto, resta l’immagine sempre troppo “esposta” del guardasigilli, che sconta la propria circospezione a dispetto del passo sbrigativo, per esempio, dell’Interno.

In un clima simile, l’Anm fatalmente acquisisce maggiore convinzione nel proprio “ostruzionismo dialettico”: se ne ha prova nell’altra commissione Giustizia, quella del Senato, dove Giuseppe Santalucia e Salvatore Casciaro, presidente e segretario del “sindacato” dei giudici, impallinano la proposta dell’azzurro Pierantonio Zanettin sul sorteggio temperato per l’elezione dei togati al Csm: «Un Csm di sorteggiati presieduto dal Capo dello Stato avrebbe una valenza anche difficilmente comprensibile», obietta per esempio l’Anm con argomentazione più suggestiva che schiacciante, «resterebbero eletti i laici senza simmetria con la parte magistratuale». Vero che qui Nordio c’entra (per ora) poco, ma se si pensa che dopodomani la stessa Anm potrebbe proclamare uno sciopero contro il guardasigilli, si ha la misura di quando il “doppio binario” sulla giustizia produca effetti politici incontrollabili.

A proposito di Csm, come annunciato ieri dal Dubbio è arrivato dal plenum il parere “perplesso” sull’entrata in vigore dal prossimo 30 giugno del regolamento ministeriale per la cosiddetta “sinteticità degli atti”, riferita essenzialmente al processo civile. «Si rischia di creare non poche difficoltà ai professionisti», delibera Palazzo dei Marescialli, con un’attenzione dunque anche per l’avvocatura. Assai meno circospetto è il passo del ddl sulle violenze di genere: misure cautelari da infliggere entro trenta giorni, arresto in flagranza differita sulla base di video, braccialetto elettronico a chi maltratta i familiari. Forse la misura più praticabile rischia di essere quella pecuniaria, cioè la “provvisionale” per chi è condannato già in primo grado, da pagare eventualmente anche agli eredi della vittima. Di sicuro, nella raffica di novità approdata a Palazzo Chigi, Nordio non ha messo mano. A riprova che i provvedimenti-lampo sulla giustizia sono delegati a chi, di giustizia, dovrebbe occuparsi solo in seconda battuta.