«Il giudice tributario, al pari di tutti gli altri giudici, non solo deve essere autonomo e indipendente ma deve anche apparire tale. Il fatto che diverse Corti di giustizia tributaria, sia di primo che di secondo grado, si trovino all’interno degli uffici dell’Amministrazione finanziaria può certamente ‘ appannare’ tale immagine di indipendenza e terzietà», afferma il professore Giacinto della Cananea, ordinario di Diritto amministrativo presso l’Università Bocconi di Milano e componente di nomina parlamentare del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria.

Professore della Cananea, nel 2021 lei venne nominato dal governo di Mario Draghi presidente della Commissione interministeriale Giustizia ed Economia per elaborare delle proposte di riordino della giustizia tributaria. Proposte poi confluite nella legge 130 dell’anno successivo, che ha cambiato l’assetto di tale giurisdizione. Vi eravate posti il problema del rapporto con il Mef?

Certo. Durante le varie audizioni, soprattutto da parte dell’avvocatura, arrivarono indicazioni sulla necessità di trasferire i giudici tributari sotto la Presidenza del Consiglio. Oltre all’ostacolo rappresentato dalla tradizione, vi era quello concernente le indennità aggiuntive del personale che svolge compiti amministrativi presso le Commissioni tributarie, ora Corti di giustizia tributarie: si sarebbero dovute prevedere analoghe indennità presso la Presidenza del Consiglio. Non lo si fece, anche per via dei tempi ristretti. Il governo potrebbe ora riconsiderare la questione.

L’autonomia del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, l’organo di autogoverno dei giudici tributari, non sembra essere stata raggiunta, con la legge 130.

In effetti è così: avevamo segnalato l’assenza di piena autonomia da parte del Consiglio di presidenza nella scelta del proprio personale, subordinato ai ‘ desiderata’ del Mef. Il ministero, va detto, fatica da sempre ad accettare la piena autonomia delle funzioni del contenzioso da quelle dell’amministrazione del personale.

Il cosiddetto “transito” dei magistrati dalle altre giurisdizioni è stato un flop: vi hanno aderito solo 27 magistrati sui 100 posti a disposizione. Come mai?

Il legislatore ha mancato di rendere attraente e idonea questa opzione. E quindi sono pervenute poche domande e sono stati coperti appena un quarto dei posti. Occorre prevedere degli incentivi e, nel frattempo, sfruttare le professionalità dei giudici tributari non togati, con un concorso rivolto solo a loro. Come si fece cinquant’anni fa nella giustizia amministrativa, consentendo di diventare giudici dei Tar anche a coloro che avevano una laurea in Giurisprudenza e avevano lavorato presso varie istituzioni pubbliche.

L’organico della giustizia tributaria professionale è stato fissato in 576 unità. Sarà sufficiente?

Può esserlo. Ma, come avevamo indicato, sarebbe stato importante rivedere prima la geografia giudiziaria, che non rispecchia le attuali esigenze della giustizia tributaria. Ci sono Corti, ad esempio in Lombardia e Veneto, oberate dal contenzioso, e altre nelle quali una nuova causa viene discussa nel giro di appena due o tre mesi.

Uno dei primi provvedimenti del governo Meloni ha riguardato l’abbassamento dell’età pensionabile dei giudici tributari da 75 a 70 anni, previsto dalla legge 130 e quindi rinviato con l’introduzione di un décalage.

Tale abbassamento fu il frutto di una visione emersa già con il governo Renzi, che aveva ridotto, fra mille polemiche, l’età pensionabile dei magistrati. Bisognava prevedere però un periodo transitorio.

Per concludere, l’approvazione della riforma della giustizia tributaria avvenne un anno fa senza dibattito alla Camera. Una riforma di tale importanza avrebbe, forse, meritato altra attenzione da parte del legislatore.

Per un verso, ciò costituisce una riprova del fatto che il nostro sistema è sempre più ‘ monocamerale’, come si è visto anche durante le sessioni di Bilancio. Per un altro verso, vi era un obiettivo condiviso dal Parlamento. Il Senato tenne numerose audizioni e quasi tutte le forze politiche aderirono alla riforma. Si dimostrò che il Parlamento è in grado di legiferare tempestivamente. Resta il problema dell’attuazione. Nel frattempo, le nuove norme, adottate con la legge 111 dello scorso agosto sulla delega fiscale, mirano a completare la riforma sul piano dell’organizzazione territoriale della giustizia tributaria e del processo, senza cedere alle richieste di chi vorrebbe invece tornare ad una giustizia tributaria onoraria.