La sesta sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 29184 (presidente Ricciarelli; relatore Di Geronimo), ha respinto il ricorso di una magistrata amministrativa, confermando l’assoluzione con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”.

La decisione riguarda un caso di abuso d’ufficio, connesso alla sua funzione di capo di Gabinetto presso la Regione Sardegna. La pronuncia degli ermellini si focalizza su questioni giuridiche relative sia alle implicazioni disciplinari del caso in esame che alle modalità di proscioglimento.

La Corte d’appello di Cagliari aveva assolto la magistrata dalle accuse di abuso d’ufficio, riconoscendo che il fatto contestato non costituiva reato a seguito dell’abrogazione avvenuta con la riforma penale di Nordio (la legge 114 del 2024). La difesa della ricorrente aveva sollevato l’interesse per una formula di assoluzione più ampia, sottolineando che la sentenza, pur dichiarando la non configurabilità del reato, non riconosceva esplicitamente l’estraneità della ricorrente al fatto storico, aspetto cruciale in un eventuale procedimento disciplinare. La difesa aveva presentato ricorso sostenendo che solo un’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” o “non è stato commesso” avrebbe garantito il pieno riconoscimento della innocenza della ricorrente, utile appunto anche per il giudizio disciplinare in corso presso il Csm.

In particolare, il collegio difensivo, che assiste la giudice amministrativa, contestava che la Corte d’appello avesse solo preso atto dell’abrogazione del reato senza una valutazione completa sulla commissione del fatto. La difesa aveva anche invocato la giurisprudenza relativa alle assoluzioni con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, chiedendo che venisse riconosciuto un interesse giuridico al ricorso, in quanto l’assoluzione più ampia avrebbe effetti positivi anche nei procedimenti civili, amministrativi e disciplinari.

La Cassazione, tuttavia, ha respinto il reclamo, ribadendo che l’assoluzione per la sopravvenuta abrogazione del reato non attesta l’estraneità al fatto. La magistrata non poteva ottenere una formula assolutoria più favorevole, poiché non vi era evidenza dell’innocenza manifesta, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.

Secondo la Corte, la procedura disciplinare in corso non può essere influenzata da un’interpretazione favorevole della sentenza penale, sebbene la magistrata possa far valere la decisione in sede disciplinare come prova che il fatto non costituisce reato. Soprattutto, la sesta sezione penale della Suprema Corte ha chiarito che, quando il fatto per cui è stata esercitata l’azione penale non è più previsto dalla legge come reato, il giudice è tenuto ad applicare l’assoluzione con la formula prevista senza ulteriori valutazioni. L’articolo 129 del codice di procedura penale stabilisce infatti che il proscioglimento debba avvenire immediatamente, e non ci si può soffermare sulla ricerca di una formula più favorevole, se non vi sono ragioni evidenti per farlo.

A tal proposito, gli ermellini scrivono: “Analogo principio deve essere affermato anche qualora il vizio di motivazione sia dedotto al fine di far valere, nel giudizio di rinvio, una formula assolutoria più favorevole rispetto a quella che è stata già pronunciata, proprio perché l’immediatezza della causa di proscioglimento già rilevata non consentirebbe una rivalutazione nel merito e l’eliminazione dei vizi di motivazione denunciati, al fine di pervenire ad una assoluzione con formula maggiormente liberatoria”. In tal senso, la Cassazione ha affermato che l’assoluzione “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” è sufficientemente chiara per chiudere la questione penale. Ma con la pronuncia assunta il 15 luglio, resta “sospesa” la valutazione sull’innocenza dell’imputato.