Lo ha approvato la commissione Giustizia di Palazzo Madama, grazie all’iniziativa di Pierantonio Zanettin, capogruppo azzurro nell’organismo presieduto dalla leghista Giulia Bongiorno. La settimana prossima, entro martedì, dovrebbe arrivare un analogo via libera dall’altra commissione Giustizia, quella di Montecitorio, dove un documento simile a quello di Zanettin sarà proposto dal presidente Ciro Maschio, di FdI. Anche dalla Camera sarà rivolto al governo un invito a “valutare la possibilità” di introdurre i test per i magistrati, almeno per chi affronta il concorso in vista della carriera togata. Sarà poi una partita da giocare tutta in Consiglio dei ministri. Con Nordio a dare le carte.

C’è una possibilità che sembra farsi strada e che in effetti è suggerita proprio dalla formula scelta, con successo, da Zanettin: non considerare i test come una novità da “somministrare” alla magistratura all’improvviso, ma ricorrervi per il futuro. Sebbene sia difficile non condividere il principio per cui ai magistrati dovrebbe essere riservato un trattamento non diverso da quanto avviene per qualsiasi altro dipendente pubblico, Nordio sa anche che applicare a chi ha vinto un concorso, ed esercita già da anni le funzioni giurisdizionali, le verifiche sulla tenuta psicologica sarebbe problematico.

È una soluzione che, pur non irragionevole, presenterebbe controindicazioni sia sul piano politico che in termini operativi. «Cosa succederebbe», è la riflessione proposta da una fonte parlamentare di centrodestra, «se i testi psicoattitudinali facessero emergere una non confortante predisposizione all’equilibrio di un certo giudice? Tutte le sentenze da lui emesse fino a quel momento potrebbero essere oggetto di contestazione: è una mina che rischia di far saltare l’intero sistema giustizia».

Obiezione tutt’altro che peregrina. Ma sono anche più tranchantquelle già avanzate dall’Anm e destinate a risuonare oggi, quando il presidente del “sindacato” dei giudici, Giuseppe Santalucia, terrà una conferenza stampa al termine del “parlamentino” dell’associazione. In attesa che la magistratura associata faccia capire fino a che punto la questione dei test rischia di compromettere i rapporti col governo, Nordio è impegnato in una valutazione più generale. Di tipo politico.

E anzi mai come stavolta, le scelte sulla giustizia, in capo al guardasigilli, possono riverberarsi in maniera forte sull’intero orizzonte della maggioranza. Il ministro sa cioè che la questione dei test psicoattitudinali è un tassello, al quale se ne aggiungono altri di pari importanza. Ad esempio, lo sgraditissimo, all’Anm, concorso straordinario in magistratura riservato ad avvocati, toghe onorarie e accademici. L’ipotesi però sembra evaporata: è rimasta fuori anche dall’ultima bozza ( circolata ieri) del decreto Pnrr che sarà varato lunedì a Palazzo Chigi. Poi c’è la separazione delle carriere. Anche lì c’è in gioco una sfida alla linea conservativa dell’associazionismo giudiziario. Eppure la riforma procede. Sarà il 25 marzo in Aula, secondo il calendario della Camera. E due giorni fa, il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto ne ha parlato in questi termini: «È cambiato il rapporto tra magistratura e politica: siamo lontani anni luce dai tempi in cui Csm e Anm cercavano di condizionare le logiche parlamentari» . Ma è proprio così? Il punto è che una “guerra” con la magistratura potrebbe innescare un effetto incontrollabile, nell’opinione pubblica, che dalla giustizia potrebbe riverberarsi, ad esempio, sul referendum per il premierato. Ecco la linea sottile sulla quale Nordio sa di dover mantenere l’equilibrio. Ed ecco perché resta in bilico non solo il dossier più immediato, quello sui test psicologici, ma lo stesso “divorzio” tra giudici e pm. Ne è consapevole l’Unione Camere penali, che ha il merito di aver promosso la legge sulle carriere separate da cui tutto è partito: «È ora necessario che la politica non si faccia condizionare dalla costante azione di contrasto della magistratura, da sempre contraria a ogni forma di rinnovamento, e sostenga con impegno l’iter del ddl fino alla sua approvazione», ha avvertito ieri l’associazione presieduta da Francesco Petrelli. Si tratta di scegliere fra ineluttabilità dello status quo e cambiamento, senza far finta che la seconda opzione sia priva di rischi.