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Il Nazareno è stato costretto a dire sì a tutte le loro richieste pur di non perdere l’alleanza con i liberal riformisti
Adecidere la trattativa in realtà durissima tra Letta e Calenda, ieri, è stata una proiezione impietosa a disposizione del Pd. In caso di rottura tra i due schieramenti il Pd avrebbe conquistato 8 seggi uninominali alla Camera, 4 al Senato. Non Caporetto ma Waterloo. Certo, ad Azione di collegi non ne sarebbe entrato neppure uno ma questo per Calenda era un problema minore. Da solo, secondo alcuni sondaggi, avrebbe preso più voti nella quota percentuale, incassando quella porzione di centristi che non sono disposti a votare per chi è alleato del Pd o di Europa verde. Ci avrebbe rimesso ma non tanto.
A condizionare il rush finale del braccio di ferro è stata questa sproporzione clamorosa tra quanto i due contraenti avevano da perdere ove l'affare non fosse andato in porto. Di conseguenza era inevitabile che Calenda la spuntasse su tutta la linea, e non s'intendono solo i veti posti sulle candidature di Fratoianni, Bonelli e Di Maio. L'obiettivo era ben più ambizioso. Era costringere il segretario del Pd a rimangiarsi l'alleanza ' solo elettorale', ognun per sé e tutti contro la destra, per dar vita di fatto a una vera alleanza centrista alla quale si aggregano Sinistra italiana e Verdi, riuniti in Europa Verde, loro sì in veste puramente tecnica.
Bastava osservare i volti dei leader nella conferenza stampa convocata per annunciare l'intesa per capire senza bisogno di parole come era andata: Calenda sembrava lo stregatto, con un sorriso tanto largo da non lasciare spazio ad altro. A Letta invece sembrava invece che il gatto fosse appena morto, tanto appariva scuro in volto.
L'accordo che dovrebbe salvare il Pd dal disastro vaticinato dalla proiezione sui collegi di cui sopra è stato esoso. Per cancellare dalle liste maggioritarie i tre leader su cui aveva posto il veto Calenda si è fatto ricorso a un espediente proposto la sera prima proprio da Fratoianni. Nessun altro leader sarà in lista, neppure gli stessi Letta, Calenda e, per la componente radicale di dell'asse + Europa- Azione, Della Vedova. Sacrificio trascurabile, dal momento che sono tutti certi di essere eletti comunque nel proporzionale; per gli altri esclusi non c'è alcuna certezza di superare lo sbarramento del 3 per cento. Ma questo è il meno. Calenda ottiene una divisione dei seggi che chiamarla vantaggiosa è poco. Al netto dei seggi che bisognerà lasciare alle liste di Europa verde e a Di Maio, il 70 per cento dei seggi al Pd, il 30 per cento ad Azione. Significa 15 seggi sicuri per Calenda ed è una enormità. Ma soprattutto Calenda ha ribaltato l'alleanza elettorale del segretario del Pd costringendolo a comporre un polo centrista, al quale aderirà senza dubbio l'ape Maia, alleato con un piccolo cartello di sinistra, su posizioni per molti versi non diverse ma opposte.
Si e Verdi fanno buon viso a cattivo gioco sperando di sfruttare a proprio vantaggio il nuovo quadro, che si presenta, spiegano, come «una desistenza del 1996 riadattata a questa legge elettorale».
Allora l'Ulivo e Rifondazione, oggi l'asse centrista di Calenda e Letta ed Ev. Con la non trascurabile differenza che Rifondazione aveva allora una sua notevole e certa forza autonoma mentre quella di Ev è tutta da costruirsi e poi da verificarsi nelle urne.
Non è quel che voleva Letta. Il segretario del Pd mirava ad avere le mani molto più libere in campagna elettorale, a non sbilanciarsi né verso il centro né verso la sinistra, proprio per questo, dopo i primi giorni, aveva messo la sordina ai proclami sulla ' agenda Draghi', rispolverata ora in pompa magna per il diktat di Calenda. Del resto le difficoltà del leader del Pd sono inevitabili. Si trova nella scomodissima posizione di chi, dopo aver costruito una strategia per anni, la vede crollare in poche ore e proprio sul più bello. La rottura con Calenda lo avrebbe condannato alla rotta e di conseguenza alle dimissioni.
Ora, e pur avendo dovuto pagare n prezzo caro, può giocare una partita comunque difficile. Se riuscirà da un lato a limitare la vittoria della destra e dall'altro a imporsi come primo partito resterà in sella e giocherà di sponda con Giorgia Meloni sul piano del dialogo istituzionale: legge elettorale, eventuali riforme della Carta, collocazione internazionale dell'Italia. Ma il rischio è alto. Se la destra dialogherà nei collegi e se l'Azione macroniana di Calenda gli ruberà troppi voti, con la prospettiva di perdere anche Sicilia e Lazio, uscirà dalle urne come la più classica fra le anatre zoppe.
LUIGI DI MAIO NICOLA FRATOIANNI E ANGELO BONELLI