L’abuso di ufficio non va modificato: ce lo chiede non solo l’Europa ma anche la mafia. No, non si tratta di un errore di battitura o concettuale ma della sintesi di un pensiero che alberga nella mente di molti magistrati e del Movimento 5 Stelle per i quali l’articolo 323 del codice penale non va toccato.

Lo abbiamo toccato con mano ascoltando le audizioni che si stanno tenendo in Commissione Giustizia della Camera in merito a quattro proposte di legge su “Disposizioni in materia di abuso d'ufficio e traffico di influenze illecite”. Ormai è diventata prassi sempre più estesa quella di bloccare alcune riforme utilizzando il totem della mafia. Lo stiamo vedendo con le misure di prevenzione, lo abbiamo visto con l’ergastolo ostativo. Mettere mano ad alcuni strumenti nati per combattere la criminalità organizzata significherebbe per alcuni – magistrati, parenti delle vittime, politici - indebolire la lotta alla mafia o addirittura in alcuni casi essere fiancheggiatori. Ma, come ci disse due anni fa in una intervista il pubblico ministero della Dda di Reggio Calabria e attuale segretario di Magistratura democratica, Stefano Musolino, il metodo targato Caselli di combattere la criminalità organizzata è ormai «finito, è antistorico. La mafia è un fenomeno cronicizzato che deve essere affrontato con una legislazione che tenga insieme le ragioni della sicurezza sociale, insieme ai diritti dei soggetti coinvolti nei processi».

Cosa c’entra tutto questo però con l’abuso di ufficio? Prendiamo le dichiarazioni del capo della Procura di Palermo, Maurizio De Lucia, colui che ha condotto le indagini per catturare il super boss Matteo Messina Denaro, rese qualche giorno fa durante l’audizione in Commissione giustizia della Camera: «Oggi non è utilizzabile l’intercettazione nella quale emerga una condotta di abuso d’ufficio perché il legislatore ne impedisce l’utilizzabilità per reati che in astratto non potevano essere intercettati» e questo «ha un significato importante, perché in terre a forte infiltrazione mafiosa una preziosa fonte per acquisire illeciti nei confronti della Pa sono proprio le indagini di mafia, nella misura in cui le intercettazioni fatte con quel regime evidenziano comportamenti non corretti nella Pa o condotte di pubblici amministratori quantomeno contigui con le organizzazioni mafiose». E quindi «non poter utilizzare lo strumento del 323 cp (abuso d’ufficio, ndr) nei confronti di questi soggetti e sviluppare indagini per questo reato oggettivamente impone una limitazione anche alle indagini in tema di criminalità organizzata».

«La dichiarazione del dottor De Lucia dimostra proprio come si sia diffusa nella prassi giudiziaria un uso strumentale delle contestazioni», ci dice il presidente dell’Unione Camere penali, Gian Domenico Caiazza. Per Caiazza, «o c’è una ipotesi di favoreggiamento alla mafia, per esempio, già evidente nelle indagini e allora vengono contestati altri reati» o altrimenti «continua a prevalere l’idea che la contestazione dell’abuso di ufficio sia una rete a strascico. Questo è proprio il motivo per cui ne chiediamo l’abrogazione. Contestiamo l’idea di una norma estremamente generica che si vuole utilizzare in modo strumentale come una rete a strascico per pescare per cercare altri reati dei quali non si ha conoscenza ma che potrebbero venir fuori. Non si può esercitare così l’azione penale», ammonisce il penalista. «E la risposta del dottor De Lucia – prosegue Caiazza - spiega anche la ragione per la quale poi c’è una assoluzione per il reato di abuso del 90 per cento. Perché in realtà lo si usa strumentalmente per cercare altro. La risposta di De Lucia è pertanto una ragione in più per eliminare il reato di abuso d’ufficio».

Abbiamo raccolto anche il parere dell’onorevole Pietro Pittalis (Forza Italia) primo firmatario di una proposta di legge per l’abrogazione dell’articolo 323 cp: sostenere che così di vada ad indebolire la lotta alle mafie «è la solita bufala che rispolverano ad ogni riforma in materia di giustizia. Agitano lo spauracchio dell’indebolimento del contrasto alle organizzazioni criminali e alla lotta alla mafia ingenerando inutili allarmismi e disinformazione. Questo atteggiamento lo comprendiamo se arriva come loro abitudine certificata dal Movimento 5 Stelle, spiace sentirlo anche da autorevoli magistrati. Anche perché non si vede quale connessione possa esserci tra l’abuso di ufficio e i reati che riguardano le organizzazioni criminali: corruzione, traffici illeciti o frodi, ad esempio. Insomma, siamo su un versante molto ben chiaro e distinto da quello che è appunto questo vecchio armamentario che ad ogni riforma viene rispolverato», conclude Pittalis.