Ritardare il deposito di una sentenza, o di un qualsiasi provvedimento giudiziario, difficilmente comporta per il magistrato una sanzione disciplinare. È quanto emerge da una interessante rassegna delle decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura adottate in tema di ritardi nell'ultimo triennio da parte del togato indipendente Roberto Fontana.

«Ho fatto questa rassegna nella convinzione che possa offrire, soprattutto ai colleghi più giovani, una rappresentazione corretta degli orientamenti applicativi ai fini di una percezione equilibrata del tema», afferma Fontana, già pm presso la Procura di Milano.

«Scopo di questo lavoro - aggiunge - è quello di evidenziare l’importanza della capacità di auto organizzazione dei singoli magistrati nella gestione del proprio lavoro e, insieme, quello di far emergere come siano ingiustificati timori eccessivi per il verificarsi di qualche ritardo, anche significativo ma talvolta inevitabile se si coniuga efficienza e qualità della giurisdizione». E in effetti è quanto mai alta la percentuale di assoluzioni per «scarsa rilevanza del fatto» da parte del Csm in presenza di ritardi di anni nel deposito dei provvedimenti.

La norma prevede che si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, «il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto». Leggendo però i casi raccolti da Fontana sono invece numerose le assoluzioni dei magistrati che hanno depositato le sentenze anche dopo 4 o 5 anni.

Un ruolo importante è rivestito dal dirigente dell’ufficio che non solo ha compiti di informazione a fini disciplinari, ma ha anche doveri di conoscenza, e quindi di comprensione, delle cause dei ritardi, in funzione di eventuali interventi organizzativi di sua esclusiva competenza. Peraltro, quest’ultimo è tenuto, in sede di redazione del rapporto informativo ai fini della valutazione della professionalità del magistrato, a dar conto delle ragioni accertate dei ritardi, degli elementi utili per valutare l’eventuale giustificabilità e dei provvedimenti organizzativi adottati per rimuoverne le cause che risultino non riconducibili esclusivamente a responsabilità del ritardatario.

Balzò in passato agli onori delle cronache il caso di un presidente di tribunale che aveva segnalato al Csm come un giudice non riuscisse proprio a depositare le sentenze rispettando i tempi. E ciò nonostante avesse condiviso con il diretto interessato un programma di smaltimento dell’arretrato.

Il presidente, vista la situazione fuori controllo, dopo aver esonerato il magistrato ritardatario dalla partecipazione alle udienze dove non fosse relatore e dalla decisione dei reclami cautelari, aveva concordato insieme a lui una tabellina di marcia: depositare in un mese cinquanta sentenze e quaranta ordinanze, per un totale di tre provvedimenti al giorno. Tutto inutile. Dopo appena qualche mese il crono programma era saltato. Secondo il procuratore generale della Cassazione, il magistrato ritardatario avrebbe violato con la sua condotta i doveri di «diligenza e laboriosità», determinando «un’evidente lesione del diritto del cittadino ad una corretta e sollecita amministrazione della giustizia con conseguente compromissione del prestigio dell’Ordine giudiziario».

Il magistrato era anche recidivo essendo già stato condannato per avere depositato, sempre con ritardi di anni, altre centinaia di sentenze. «Ritardi gravi ed ingiustificati proseguì il pg - nonché pregiudizievoli del diritto delle parti ad ottenere la definizione in tempi ragionevoli del processo secondo quanto previsto dall’articolo 111 comma 2 della Costituzione e 6 Cedu».

Il Csm, a sorpresa, aveva però assolto il giudice ritardatario. A far pendere la bilancia in suo favore vi era il fatto che negli anni nessun avvocato si era mai lamentato ufficialmente della gestione del ruolo del magistrato. A ciò andavano ad aggiungersi, come giustificazione, alcuni motivi personali, come il ricovero di un familiare in ospedale. «È irrilevante che gli avvocati non abbiano mai protestato contro il giudice in quanto l’illecito tutela il regolare corso della giustizia ed in principi del giusto processo», aveva provato a replicare il pg. E sui motivi personali, comprensibilissimi, «il giudice poteva ricorrere a periodi di congedo o aspettativa». Tali periodi di criticità, però, dovevano essere transitori ed eccezionali e non, come in questo caso, di durata ultradecennale. Merita di essere citata, in conclusione, una pronuncia della Cassazione in tema di ritardi quanto mai esplicita.

Prima di sanzionare un magistrato, è importante analizzare il «complessivo carico di lavoro del magistrato, da valutarsi sulla base del numero di cause sul ' ruolo”, indipendentemente da quelle effettivamente trattate e decise, sia in relazione alla sussistenza e all'entità di impegni aggiuntivi di tipo amministrativo o organizzativo». E ciò, prosegue la Cassazione, «tenendo conto del momento in cui tali impegni siano sopravvenuti e della loro durata rispetto al verificarsi dei ritardi, al fine di valutare la sussistenza di eventuali significative ingerenze sulla programmazione del lavoro dell’incolpato». Insomma, calma.