«Sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo». L’autore del tweet è Maurizio Gasparri, senatore di Forza Italia. Un messaggio profondamente offensivo per Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti rapite la notte tra il 31 luglio e il primo agosto 2014 in Siria e liberate il 15 gennaio 2015, ma non per il Senato, secondo cui quel tweet rappresenta attività politica, dunque insindacabile, in quanto rientra nell'ambito dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione italiana.

L'Assemblea ha approvato con il voto compatto della maggioranza il documento proposto dalla Giunta per le immunità parlamentari a favore di Gasparri, indagato per il reato di diffamazione col mezzo della stampa, a seguito della querela sporta dalle due giovani. Contrari al documento della Giunta sono stati i gruppi Azione-Italia viva, M5s e Pd, che hanno ritenuto mancasse il nesso funzionale tra le dichiarazioni rese e le attività parlamentari specifiche.

La storia delle due giovani era stata strumentalizzata dalla destra, all’epoca all’opposizione e subito pronta a chiedere le dimissioni dell’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, che subito dopo la liberazione delle due ragazze aveva categoricamente smentito il pagamento del riscatto alle milizie locali, poi “svelato” da una fantomatica sentenza del tribunale di Aleppo secondo la quale per salvare le due giovani dalle mani degli estremisti islamici il governo avrebbe sborsato un riscatto di 11 milioni di euro.

Da ciò era nato il tweet al veleno dell’allora vicepresidente del Senato Gasparri - che aveva ipotizzato, per non meglio specificati motivi, che le due giovani si sarebbero concesse ai rapitori -, poi trasferito in Aula con un’interrogazione parlamentare meno esplicita, con la quale chiedeva se il governo italiano avesse «versato soldi e finanziato i fondamentalisti islamici». La Farnesina aveva però smentito quel pagamento: «Non riteniamo di dover commentare supposte fonti giudiziarie di Aleppo o del sedicente tribunale islamico del movimento Nureddin Zenkin. In ogni caso non risulta nulla di quanto asserito», aveva affermato l’Unità di crisi. Gasparri, in Aula, si era anche scusato per aver offeso le due giovani, ribadendo però la propria posizione su terrorismo e riscatti.

Per Sergio Rastrelli, relatore della proposta di improcedibilità avanzata dalla Giunta per le immunità, è «senza dubbio che, nel caso specifico del senatore Gasparri, il nesso funzionale sia pacifico ed evidente, atteso che - ictu oculi - è possibile ravvisare una esatta corrispondenza sostanziale tra le dichiarazioni rese» sui social e quelle in Aula. «In modo particolare - ha aggiunto Rastrelli - il dibattito parlamentare del 19 gennaio del 2015 ebbe a oggetto proprio ed esclusivamente il tema dei rischi e delle criticità legati al volontariato in zone rischiose». A negare il nesso funzionale è stato in primo luogo il legale delle due giovani, Luca Bauccio, che nella memoria consegnata al gip aveva evidenziato come le dichiarazioni di Gasparri non assumono «alcuna pertinenza col mandato parlamentare», in quanto quella frase aveva ad oggetto «la smodata e denigratoria illazione secondo» cui Greta e Vanessa «avrebbero intrattenuto rapporti sessuali consenzienti con i loro rapitori».

Ed anche a voler ammettere per astratto la pertinenza di tali dichiarazioni con il ruolo svolto da Gasparri, «nel caso di specie si applica la regola più volte ribadita dalla Consulta secondo cui al fine di ritenere sussistente il nesso funzionale fra le dichiarazioni rese dal parlamentare intra moenia e le dichiarazioni espresse extra moenia è necessario che quest’ultime “possano essere riconosciute come espressione dell'esercizio di attività parlamentare […] vale a dire che assumano carattere divulgativo di quanto riconducibile a quest'ultima” (Sentenza n. 241 del 2022)». Secondo la giurisprudenza, però, non possono valere, a tale fine, «gli atti parlamentari posteriori alla dichiarazione reputata insindacabile, perché, per definizione, quest'ultima non può essere divulgativa dei primi», proprio come nel caso del tweet di Gasparri, pubblicato prima delle sue dichiarazioni in Senato.

Diverse, comunque, da quelle contenute nel tweet, dalle quali, anzi, ha poi preso le distanze in aula, addirittura scusandosi «con chi si è ritenuto offeso». Insomma: si tratta di dichiarazioni completamente - ed evidentemente - diverse. Per Ada Lopreiato, del M5S, «all'epoca anche il senatore Gasparri non considerava un luogo adatto alla discussione l'Aula del Senato. Ebbene, siamo d'accordo con il senatore Gasparri: ne discuta in tribunale e dia seguito a un sacrosanto procedimento» Ma la senatrice ha anche sollevato un dubbio: «Tale atto fu deferito alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari il 18 luglio 2018. Perché l'esame non fu concluso nella scorsa legislatura? Perché è stato messo all'ordine del giorno solo ora che il centrodestra detiene la maggioranza?».

A intervenire anche Alfredo Bazoli, del Pd: «Noi non possiamo allargare l'articolo 68 della Costituzione fino a ricomprendere le offese personali - ha sottolineato il senatore dem -. E cosa c'è di più offensivo» di quel tweet?, si è chiesto. «La chiara attitudine offensiva di tali parole non può essere scriminata neanche da un intervento in Aula del giorno successivo, nel quale il senatore Gasparri si è scusato. Esse non costituiscono una critica politica e dunque non appartengono al novero della critica politica coperta dall'articolo 68». Argomentazioni che, però, non hanno scalfito la maggioranza: l’insulto sessista alle due giovani cooperanti, da mercoledì, è considerato «opinione politica».

«Il nostro auspicio – ha commentato Bauccio al Dubbio – è che il Tribunale sollevi il conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale. Siamo di fronte ad un malcostume istituzionale che calpesta la divisione dei poteri e soprattutto offende la dignità dei cittadini con motivazioni pretestuose e giuridicamente inconsistenti. Siamo certi che la Corte costituzionale spazzerà via questa ennesima illegittima appropriazione di privilegi».