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PAOLO STORARI MAGISTRATO
Sconta già una sorta di “ergastolo con fine pena mai” e una eventuale pena statale non avrebbe alcuna funzione, qualunque sia la teorica a cui ci si ritenga di ispirare. È con questa espressione che il pubblico ministero milanese Paolo Storari ha chiesto di non procedere penalmente nei confronti di una madre che, nel luglio 2024, investì accidentalmente il figlioletto di appena 18 mesi nel cortile della loro abitazione a Pioltello. Il fascicolo era stato aperto con l’ipotesi di reato di lesioni personali gravissime colpose a carico della donna. A seguito dell’incidente, il bimbo ha riportato lesioni estese e permanenti, tali da condannarlo ad una condizione neurologica gravemente menomante per tutta la vita. Proprio per tale motivo, secondo Storari, «una eventuale condanna o lo svolgimento di un processo a carico dell’indagata costituirebbe una sorta di trattamento contrario al senso di umanità (art. 27 comma 3 Cost.)».
Tre le vie teoricamente percorribili, spiega Storari: il patteggiamento, l’applicazione dell’articolo 131-bis c.p. sulla particolare tenuità del fatto, nonostante la gravità dell’evento lesivo e la questione di legittimità costituzionale, e l’incidente costituzionale. La prima opzione, afferma Storari, «non terrebbe nel minimo conto la situazione che si trova a vivere l'indagata, nei cui confronti l'ordinamento reagirebbe senza alcuna ragione o necessità e solo per riaffermare una norma di divieto di fatto strumentalizzando l’indagata». Nel secondo caso, si tratterebbe di comprendere se nell’ordinamento «esistano valvole di sfogo» che consentono «di escludere la punibilità (e anche “la pena del processo”)», usando il diritto come «strumento per arrivare alla soluzione più giusta, in un'ottica di umanità del punire che avvicina le norme alle persone (e non viceversa)». Infine, si potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale degli articoli 582, 583 comma 2 n. 1 c.p. nella parte in cui punisce le lesioni personali gravissime cagionate per colpa incosciente dalla madre al figlio, per contrasto con l’articolo 27 comma 3 Costituzione nella parte cui vieta pene inumane.
Storari sceglie, dunque, la via dell’archiviazione: «In questi casi, soppesando il grado di colpevolezza, la gravità delle conseguenze e la finalità della pena, si impone immediatamente la conclusione che una reazione penalistica non serve a nulla, anzi appare addirittura controproducente, non avendo il diritto penale alcuna funzione da svolgere, né per il reo né per la collettività». Per il pm, una condanna o un processo «costituirebbe una sorta di trattamento contrario al senso di umanità». Anche perché il comma 3 dell’articolo 27 della Costituzione stabilisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Un principio condiviso anche dalla Cedu e fondamentale affinché «un ordinamento punitivo possa dirsi “civile”». Un principio la cui portata può spingersi oltre, «rendendo plausibile e giustificabile la scelta di non irrogare la pena in casi nei quali il soggetto, nella vicenda concreta, abbia già subito una sorta di cosiddetta poena naturalis, ossia una grave conseguenza afflittiva che, di fatto, renderebbe l’ulteriore sanzione non solo sproporzionata per eccesso, ma persino inumana». Storari richiama nella sua richiesta quanto scritto dal professore avvocato Vittorio Manes nel libro “Introduzione ai principi costituzionali in materia penale”, sottolineando che il diritto penale, in questi casi, deve farsi carico della complessità del dolore umano, evitando di replicare «alla brutalità con la brutalità, alla violenza con la violenza, alla crudeltà con la crudeltà, e così stabilendo una differenza fondamentale che separa la pena dalla cieca vendetta».
Come dice Manes, «mentre nel medioevo si consentivano, al cospetto di crimini atroci, eccezioni e deroghe ai principi ed alle regole ordinari (in base al già citato principio in atrocissimis licet iura transgredi), nessuna eccezione può ammettersi oggi al cospetto della assoluta inviolabilità dell’articolo 27, comma 3, prima parte, Costituzione, e lo Stato deve sempre rispettare il canone di umanità del castigo, dalla fase della previsione della sanzione, al momento della sua commisurazione concreta, sino alla fase esecutiva della pena carceraria, quando il detenuto è “affidato” alla custodia statale».
Storari ha dunque chiesto al gip di escludere «la punibilità del fatto ascritto all’indagata ai sensi dell’art. 131 bis c.p.» e, in subordine, propone di sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme che puniscono anche questi casi, per possibile violazione dell’articolo 27 della Costituzione nella parte che vieta “pene inumane”.