TULLIO PADOVANI

INTERVISTA DI ERRICO NOVI «Scelta inaccettabile, la Corte ha il dovere di cancellare le norme incostituzionali»

«Inaccettabile, assolutamente. Una decisione che contrasta, a mio giudizio, con i compiti propri della Corte costituzionale, e che sembra purtroppo ispirarsi a un costume nazionale poco commendevole: la politica del rinvio. Non trovo condivisibile la scelta compiuta dalla Consulta che, anziché dichiarare l’ergastolo ostativo incostituzionale, concede al Parlamento altri 6 mesi per legiferare».

Tullio Padovani, tra i maestri dell’avvocatura penale italiana, professore emerito della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, è tra i rarissimi giuristi ammessi nell’Accademia dei Lincei. «La Corte si è infilata in un vicolo cieco con le proprie mani», dice, «cosa succede se dalle Camere, a novembre, arrivasse una legge meritevole ancora di essere censurata perché incostituzionale?».

Ma era prevedibile questo rinvio, professore?

Se lo aspettava?

Francamente sì, c’era da aspettarselo per come le cose si erano messe già un anno fa, quando la Corte aveva accertato che le norme sull’ergastolo ostativo sono illegittime eppure non lo aveva formalmente dichiarato. La strada seguita sembra rivelarsi di fatto impercorribile, conduce in un labirinto.

Ma le esigenze di sicurezza vengono davvero prima del diritto alla libertà di persone detenute da decenni e in alcuni casi molto anziane?

Senta, non mi sembra il caso di spingerci a una valutazione del genere. No, la vedo in modo più semplice: quando la Corte costituzionale riconosce che una norma è illegittima, lo dichiara. Già un anno fa, quando ha esaminato il caso, avrebbe potuto ricorrere a una soluzione adottata spessissimo: preannunciare la decisione con un comunicato, e con un certo anticipo rispetto al formale deposito della sentenza, in modo che il governo, se necessario, potesse intervenire con un decreto legge. Ecco. La soluzione c’era. Rapida, efficace e coerente. E invece il sistema del rinvio della pronuncia in attesa che il Parlamento legiferi non pare offrire buoni risultati.

Si riferisce anche al caso Cappato?

Quel caso ha dimostrato come la Corte avesse a disposizione anche la strada della sentenza manipolativa. Forse avrebbe potuto farvi ricorso anche nel dichiarare incostituzionale la preclusione assoluta alla liberazione degli ergastolani non collaboranti. Se invece non si fosse trovato il modo, avrebbe comunque dovuto dichiarare già l’anno scorso, immediatamente, l’illegittimità di quella norma. Non compete alla Corte preoccuparsi che venga prima definita la cornice di norme entro cui collocare il diritto creato da una sentenza: a quello ci pensi il legislatore. Che, di fronte a una sentenza immediatamente efficace, c’è da star sicuri si sarebbe rivelato velocissimo. Si è scelta invece la strada peggiore. Si è assecondato il vizio italico del rinvio a un passo dalla scadenza. Non si decide, ci si dà altro tempo, e altro tempo ancora. Pare che Andreotti teorizzasse il carattere provvidenziale di questo metodo.

Ha vinto ancora una volta lo stato d’eccezione che, in materia di lotta alla mafia, sopprime il diritto?

Ormai il nostro ordinamento soggiace dinanzi alla maestà del monumento eretto allo stato d’eccezione dell’antimafia. È così: l’eccezione diventa regola, e anzi viene travasata nel diritto comune, estesa a materie diverse dall’antimafia. Di fatto, un moloch che nella nostra Repubblica ha assunto il ruolo che la Resistenza ha avuto rispetto alla Costituzione.

Proprio dai teorici dell’antimafia è arrivato l’altolà: consentire la liberazione degli ergastolani di mafia è pericolosissimo, hanno intimato.

Se una norma grida vendetta, se offende il principio per cui una pena non può essere inumana, va dichiarata subito incostituzionale. Nella sentenza si possono offrire suggerimenti, ma è il legislatore che decide. E nel frattempo, a decidere sono i giudici di sorveglianza. O non ci fidiamo neppure di loro?

In effetti c’è chi, come Nino Di Matteo, avrebbe voluto assegnare la competenza sugli “ostativi” al solo Tribunale di sorveglianza di Roma.

Premesso che questo equivale a dire “non abbiamo un apparato giudiziario all’altezza”, se davvero lo si pensa, si accentra tutto a Roma. Un decreto successivo all’annuncio della sentenza avrebbe potuto introdurre in un attimo l’auspicato accentramento.

Si è preferito congelare il diritto alla speranza.

Quella norma che lo subordina alla collaborazione è contro ogni logica, contro ogni principio. Tanto varrebbe lasciare come opzione la morte: imporre di attenderla in carcere per decenni è, appunto, inumano. E lo dice chi, come il sottoscritto, non è sfavorevole in assoluto alla pena dell’ergastolo.

Considera l’ergastolo accettabile?

È il condannato a dover dimostrare, nel percorso rieducativo, di avervi aderito in modo effettivo, di aver tenuto una condotta e aver mostrato segni coerenti con le esigenze del reinserimento. Il detenuto deve essere arbitro del proprio destino, lo Stato dovrebbe solo verificare in che modo si è utilizzata questa opportunità. Ma possono esserci, è inutile negarlo, persone irredimibili. Sono un radicale convinto da decenni, e forse questa è la sola riflessione che mi distingue dagli altri radicali.

Nella nuova legge è prevista l’inversione dell’onere della prova: è accettabile?

È inaccettabile innanzitutto che si elimini di fatto l’istituto della collaborazione inesigibile, che la disciplina diventi persino peggiore di quella preesistente. E poi, pretendere che il detenuto dimostri l’assenza di rapporti con l’organizzazione criminale originaria, cioè pretendere che si dimostri qualcosa che non esiste, è un trucco per rendere impossibile la concessione del beneficio. È esattamente la stessa logica delle misure di prevenzione: devi dimostrare che il patrimonio è stato accumulato da tuo nonno decenni prima in modo lecito, ma non hai più gli elementi per ricostruirlo e così hai perso per sempre i beni. Un abominio.

Gli ergastolani di mafia sono spesso detenuti in regime di 41 bis: come possono offrire da lì elementi sul mondo di fuori?

Se si suppone possano farlo, si ammette implicitamente che il 41 bis è un fallimento: dovrebbe impedire i rapporti con l’esterno, eppure le nuove norme sull’ergastolo ostativo danno per implicito che un recluso possa mantenere rapporti con il mondo criminale anche se è al 41 bis. Di fatto, lo Stato ammette che una misura prevista nel proprio ordinamento è inefficiente: ma che razza di ordinamento è questo?

Alla Corte va concessa l’attenuante di essersi trovata in una situazione delicatissima?

Ci si è infilata con le proprie mani un anno fa, quando ha scelto di lasciare un anno di tempo per una nuova legge. Alla Corte spetta dichiarare l’incostituzionalità: faccia il suo, vedrà che poi il legislatore segue.

«BASTAVA ANTICIPARSI CON UN COMUNICATO»

«C’ERA UNA STRADA ASSAI PIÙ PERCORRIBILE DEL RINVIO IN ATTESA DI UNA LEGGE: ANNUNCIARE LA PRONUNCIA DI ILLEGITTIMITÀ CON UN COMUNICATO IN MODO CHE, SE NECESSARIO, IL GOVERNO POTESSE ADOTTARE UN DECRETO. IL COMPITO DELLA CONSULTA È SOLO UNO: ELIMINARE LE NORME INCOMPATIBILI COIN I PRINCIPI DELLA CARTA»