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Uno striscione in favore del detenuto Alfredo Cospito, rinchiuso a Milano Opera in regime di 41 bis
Due lettere scritte a penna: una il 12 novembre, l’altra il 17 gennaio. Alfredo Cospito le indirizza al suo avvocato Flavio Rossi Albertini dal carcere di Sassari. Ribadisce la propria volontà di rifiutare l’alimentazione forzata e qualsiasi altro trattamento sanitario finalizzato ad interrompere lo sciopero della fame. Ma l’uomo non vuole morire, come ha ribadito ieri il suo stesso legale: «Cospito non ha una vocazione suicida, non vuole morire ed è pronto ad interrompere lo sciopero della fame se dovessero sospendergli il 41 bis. Lui ha deciso di attuare questa forma di protesta contro la misura che gli è stata applicata ma, considerate le sue convinzioni di anarchico, la sua non è solo una battaglia personale: non si limita a denunciare la illegittimità della misura a cui è sottoposto ma denuncia contestualmente il regime del 41 bis come violazione dei diritti umani».
Ma al momento lo Stato sembra non voler affatto cedere alla richiesta di Cospito. Parola d’ordine: non arretrare. «Apriremmo una diga a tutta una serie di pressioni da parte di detenuti che si trovano nello stesso stato di detenzione», qualora «lo stato di salute» dell’anarchico finisse per essere un condizionamento rispetto a un’eventuale decisione di allentare il 41bis, ha detto il ministro Carlo Nordio ieri nella propria informativa alla Camera. «Lo stato di salute di un detenuto non può costituire un elemento di pressione» sul governo, ha aggiunto il responsabile della Giustizia.
Ma il guardasigilli e la magistratura sono consapevoli del fatto che Cospito andrà avanti fino alla fine e che il diritto gli consente di morire senza che possano agire interferenze esterne in funzione “salvavita”, nonostante si tratti di una persona affidata alla custodia dello Stato? Hanno messo in conto, Nordio e le toghe, il fatto che proprio lo Stato finirebbe per trovarsi “disarmato”, inerme, dinanzi alla lotta dell’anarchico? Come ci spiega il professore Carlo Casonato, ordinario di Diritto costituzionale comparato e responsabile scientifico del progetto BioDiritto all’Università di Trento, «sia per quanto previsto dalla Costituzione sia per il contenuto della legge 219/ 2017 è ormai un principio assodato quello del rispetto della volontà di rifiutare cure salvavita da parte di una persona capace, consapevole, informata. La persona ha diritto a rinunciare ad un trattamento e può esercitare tale diritto con una disposizione anticipata anche per quando non sarà più capace di farlo».
Secondo il professore «non ci sono eccezioni dal punto di vista legislativo al rispetto di questo diritto della volontà anche laddove la persona sia soggetta a misure limitative della libertà personale. Quindi credo che il principio generale prima enunciato debba applicarsi anche al caso specifico» di Cospito.
«Affermo questo», prosegue il professor Casonato, «perché il codice di deontologia medica, su tale questione, è molto preciso: e mi riferisco in particolare agli articoli 51 e 53». Il primo recita: “Art. 51 - Soggetti in stato di limitata libertà personale. Il medico che assiste una persona in condizioni di limitata libertà personale è tenuto al rigoroso rispetto dei suoi diritti. Il medico, nel prescrivere e attuare un trattamento sanitario obbligatorio, opera sempre nel rispetto della dignità della persona e nei limiti previsti dalla legge”.
Nel caso di Cospito, spiega Casonato, «non si può pensare di applicare un Tso perché l’uomo è capace e consapevole e non presenta problemi di salute mentale». L’altro articolo prescrive: “Art. 53 - Rifiuto consapevole di alimentarsi. Il medico informa la persona capace sulle conseguenze che un rifiuto protratto di alimentarsi comporta sulla sua salute, ne documenta la volontà e continua l’assistenza, non assumendo iniziative costrittive né collaborando a procedure coattive di alimentazione o nutrizione artificiale”.
«Quindi – conclude il professore – anche qualora qualcuno ordinasse una alimentazione artificiale con un Cospito divenuto incapace, il medico, secondo me, non potrebbe assumere iniziative costrittive né collaborare a procedure coattive in tal senso».
Anche Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, ribadisce: «Non posso entrare nel merito del caso specifico, perché non ne conosco tutti i dettagli. In linea generale il diritto all’autodeterminazione è regolato dalla legge 219 del 2017 che fa prevalere la volontà espressa dal cittadino nel momento in cui è capace di intendere e di volere». Pertanto Cospito non potrebbe essere salvato.
Durante tutta la giornata di ieri abbiamo cercato di sapere dal ministero della Giustizia e dal Dap se le volontà di Cospito espresse in quelle lettere, inviate a largo Luigi Daga dal suo avvocato Flavio Rossi Albertini, sono state protocollate e se sono state trasmesse alla struttura milanese di Opera. Non sono serviti a nulla messaggi whatsapp, telefonate e pec. Nessuna risposta ma ci riproveremo.