Possibile che un primo grado e un giudizio appello di un processo non riescano a concludersi in nove anni? La domanda sorge spontanea leggendo un esposto presentato il 5 maggio alla Procura capitolina di cui riassumiamo di seguito il contenuto. È il 23 giugno 2014 e si tiene a Roma la prima udienza di un giudizio immediato a carico di M. C.. L’uomo era accusato, insieme ad altri, di associazione a delinquere per il traffico illecito di rifiuti e falso in atto pubblico. Il procedimento prendeva avvio dopo un esposto di alcuni cittadini che denunciavano il superamento di abbancamento di rifiuti nella discarica di Malagrotta, alle porte di Roma. L’indagine poi si è ampliata ad altre due discariche - Monte dell’Ortaccio e Albano Laziale - sempre di proprietà di M. C., che avrebbe avuto così il monopolio della gestione dei rifiuti della capitale e dintorni. Il provvedimento dunque riguardava non solo la buona gestione della pubblica amministrazione ma soprattutto la salute dei cittadini. La lunga istruttoria si conclude il 5 novembre 2018 e le motivazioni venivano depositate il 5 maggio 2019. Alcune imputazioni vennero derubricate e dichiarate estinte per avvenuta prescrizione.

Il pm e gli imputati fecero appello e la prima udienza venne fissata il 4 febbraio 2022 ma si risolse in un mero rinvio, a causa della precaria composizione del collegio dovuta al prossimo pensionamento di uno dei suoi componenti, nonché dei numerosi impegni dello stesso, come esposto nel relativo verbale di udienza. Seguiranno altre quattro udienze, l’ultima delle quali il 10 febbraio 2023, ma saranno tutte di rinvio: la prima per impedimento del giudice relatore, la seconda con provvedimento adottato fuori udienza e notificato poi ai difensori, il terzo per impedimento del Presidente della Corte, la quarta veniva rinviata al 18 ottobre 2023 per diversa composizione del collegio.

Secondo il codice di procedura penale tale tipo di provvedimento è da ritenersi ricadente nell’alveo di quelli per cui è disposta l’assoluta priorità. Tuttavia la fase di appello è stata fissata a circa 3 anni di distanza dalla pronuncia di primo grado e ha già visto cinque rinvii consecutivi, tutti imputabili a impedimenti della Corte, che ne hanno ritardato la trattazione, a oggi, di più di un anno e sei mesi.

Per questo alcune parti civili, difese dall'avvocato Flavio Rossi Albertini, hanno presentato un esposto alla Procura di Roma in quanto «ciò appare agli scriventi un evidente caso di violazione del principio di ragionevole durata del processo, anche in considerazione della mancata ottemperanza dei criteri di priorità di trattazione che vede la Corte di Appello di Roma favorire la speditezza di procedimenti di facile risoluzione in luogo di quelli più complessi rispondenti ai criteri di cui all’art. 132 bis disposizioni attuative».

Pertanto i cittadini chiedono alla Procura capitolina di verificare «le ragioni che hanno determinato per una vicenda di estremo rilievo per la salute pubblica, dei cittadini interessati dalla discariche oggetto del processo de quo, il ritardo di oltre quattro anni nella celebrazione del giudizio di appello, determinando una stasi processuale idonea a determinare la prescrizione del reato anche qualora fosse accolta l’impugnazione del pubblico ministero».

Dichiara l’avvocato Flavio Rossi Albertini al Dubbio: «Noi difensori siamo spesso accusati di trovare escamotage per ritardare i processi ma in realtà non è così, come conferma questa storia. La ragionevole durata del processo come diritto dell’imputato, ma anche delle vittime, rappresenta un principio costituzionale costantemente violato nel nostro Paese. Ma la responsabilità di questo non va addebitata certamente ai legali».