Lo scontro tra il ministro della Giustizia Carlo Nordio e la magistratura si acuisce. Con la possibilità, all’esito dell’assemblea generale convocata per domenica prossima, di un nuovo sciopero, dopo quello a dire il vero poco incisivo contro la riforma Cartabia.

L’assemblea verrà preceduta, secondo quanto filtra da via Arenula, dalla presentazione delle proposte di riforma annunciate da Nordio, che dopo una lunga attesa e molti rinvii dovrebbero approdare in Consiglio dei ministri domani. Questa volta senza timidezze - dopo le iniziali preoccupazioni della parte meloniana del governo per il rischio di un conflitto con le toghe - e, dunque, sulla linea del referendum sulla giustizia dello scorso anno, con interventi sulla custodia cautelare, le intercettazioni e l’abolizione di fatto dell’abuso d’ufficio.

Le toghe si riuniranno a Roma dopo l’iniziativa disciplinare promossa dal ministero contro i magistrati milanesi, “rei” di aver mandato l'imprenditore russo Artem Uss ai domiciliari, da dove poco dopo è fuggito. Ma l’evento sarà anche l’occasione per discutere dell’atteggiamento del governo, ritenuto illiberale dalle toghe, secondo quanto dichiarato in un’intervista a Repubblica dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia.

Il sindacato dei magistrati ha già proclamato lo stato di agitazione, «con riserva di adottare in quella sede iniziative ulteriori e più incisive». Ma il clima interno, a livello distrettuale, non sarebbe poi così vivace, secondo le testimonianze di alcuni esponenti dell’Anm. «Il sentore è che non sarà una riunione partecipatissima - spiega una toga -. Potrà anche partecipare l’80 per cento dei colleghi, ma dopo l’ultimo flop che effetto può avere?».

Quel che è certo è che l’argomento unisce le diverse anime della magistratura, tutte pronte a solidarizzare con i magistrati milanesi e a polemizzare con Nordio. Ma non a seguire, forse, l’idea suggerita dalle toghe di Articolo 101 nel corso dell’ultimo comitato direttivo centrale, quando hanno messo sul tavolo una proposta ben più incisiva della semplice astensione dalle udienze: le dimissioni in massa di tutti i fuori ruolo attualmente in servizio al ministero della Giustizia, «l’unica vera soluzione efficace» secondo il giudice Andrea Reale. La sensazione, tra le toghe, è che il governo riuscirà comunque a portare a casa le riforme già in pentola da diversi mesi.

L’unica trattativa possibile - e forse su questo si giocheranno gli equilibri tra governo e magistratura - è che vengano fatti finire nel nulla altri progetti, come quello per il sorteggio della componente togata del Consiglio superiore della magistratura, la separazione delle carriere e anche il fascicolo del magistrato, tra le incombenze da portare a termine con i decreti attuativi della riforma del Csm. Decreti che, stando alle indiscrezioni raccolte nei giorni scorsi dal Dubbio, potrebbero essere rallentati proprio dai fuori ruolo in servizio a via Arenula.

Con l’assemblea di domenica, dunque, l’Anm prova a fare pressione sull’azione del governo, che finora, in tema di giustizia, non si è dimostrato particolarmente coraggioso. Se non nei proclami, limitandosi in realtà a misure eccezionali, dettate da un’urgenza punitiva e - tanto per citare Nordio - per dare un segnale «politico». Un segnale rivolto all’elettorato della destra-destra meloniana, da controbilanciare, ora, con una riforma di stampo liberale, invocata dalla componente forzista del governo e in parte anche dalla Lega, a metà strada tra le due forze di maggioranza.

Il pacchetto in arrivo prevede l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, collegato ad una più ampia riforma dei delitti contro la Pubblica amministrazione, così come richiesto dal Carroccio. Una prospettiva «del tutto irragionevole», secondo Santalucia, secondo cui «eliminare questo reato completa un percorso di riforme che, dopo gli emendamenti sulla Corte dei conti, non rafforza i controlli di legalità che proprio adesso andrebbero potenziati».

Ma non solo: sul piatto ci sono anche una modifica del reato di traffico di influenze illecite e misure a tutela della riservatezza di persone terze, estranee all’indagine, che però spesso finiscono ingiustamente nel tritacarne mediatico e le cui conversazioni non verranno più trascritte. Un intento rispetto al quale Santalucia ha espresso non poche perplessità, dal momento che «se quelle parole possono costituire una potenziale prova non le si può buttare via» e «se prova non sono il sistema in vigore già prevede che siano scartate».

Ci sarà poi una diversa comunicazione dell’avviso di garanzia e il pieno rispetto del contraddittorio, con un interrogatorio - in alcuni casi - che precede l’emissione della misura cautelare. Il pacchetto prevede inoltre la custodia in carcere come «eccezione dell’eccezione», strada da seguire anche attraverso l’idea di un gip collegiale nel caso di misure cautelari privative della libertà personale - progetto che dovrà scontrarsi con la carenza di magistrati - e che mira ad evitare l’appiattimento dei giudici sulle richieste dei pm e garantire maggiore indipendenza.

Ultima proposta di modifica la limitazione del potere del pm di impugnare le sentenze di assoluzione per alcuni reati, con l’obiettivo di superare le obiezioni espresse dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 del 2007 sulla legge Pecorella, che stabiliva l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento, prevedendo, quindi, limiti solo per alcuni reati, ancorandoli a dati già esistenti, sia per il pm sia per l'imputato.