Oltre a quello sotto la luce del sole sulla separazione delle carriere, è in atto un altro scontro tra magistratura ed avvocatura. E si sta consumando al di là dei riflettori mediatici, nel silenzio delle stanze della Commissione Mura per la riforma del processo penale. Istituita per volere del ministro della Giustizia Carlo Nordio a maggio 2023, terminerà i lavori a settembre di quest’anno. Le aspettative sono alte, tuttavia, spifferi di via Arenula fanno sapere che la montagna molto probabilmente partorirà un topolino. Il motivo? Toghe da un lato e penalisti e accademici dall’altro non avrebbero raggiunto accordi su significative iniziative riformatrici, anzi ci sarebbe un muro contro muro su due tematiche in particolare: impugnazioni e custodia cautelare.

In merito alla prima questione, i magistrati designati a far parte della Commissione avrebbero proposto modifiche irricevibili per l’avvocatura: appello a critica vincolata per accedere al secondo grado di giudizio, monocraticità del giudice di appello, riduzione dei ricorsi per Cassazione, numero chiuso di avvocati abilitati a discutere a Piazza Cavour. In sintesi, una restrizione delle possibilità di impugnazione delle sentenze. Una strada che era stata già segnata anche dalla prima presidente di Cassazione, Margherita Cassano, quando lo scorso 19 giugno, durante l’assemblea generale degli ermellini, aveva parlato di «impressionante numero di ricorsi in Cassazione, pari a oltre 80.000 l’anno, che non ha eguali nel panorama europeo». Al contrario i penalisti, col sostegno di diversi professori universitari, sarebbero voluti andare nella direzione opposta, ossia quella dell’ampliamento dell’accesso alle impugnazioni. Questo perché partono da due considerazioni basilari, di merito e metodo. La prima: in tutti i sistemi processuali ispirati ai principi accusatori è prevista la possibilità di un riesame di merito e di un controllo di legittimità della decisione del giudice. Ogni limitazione imposta ai meccanismi di controllo della decisione si riflette fatalmente sulla qualità della decisione stessa, a scapito dei diritti di difesa. La seconda: era stato lo stesso Guardasigilli alla prima riunione della Commissione a sostenere che era necessario «attuare fino in fondo i principi del processo accusatorio», «portando a compimento l’opera di Giuliano Vassalli» e favorendo allo stesso tempo «un’efficienza qualitativa della giustizia penale». Invece, da quanto appreso, la direzione che vorrebbero dare le toghe al lavoro finale della Commissione è quella di sacrificare sull’altare dell’efficienza quantitativa, cuore della riforma dell’ex ministra Marta Cartabia, le garanzie di indagati e imputati.

Proprio ai tempi dell’altra Commissione di riforma, quella di Giorgio Lattanzi, nata appunto su propulsione di Cartabia, la proposta dell’appello a critica vincolata era stata messa su un piatto della bilancia che dall’altra parte poneva l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Allora, per alcune settimane, questa ipotesi era stata considerata come un possibile scambio equo tra istanze della magistratura e istanze dell’avvocatura. Alla fine, però, non se ne fece nulla. Ci si sarebbe aspettati che lo stesso bilanciamento fosse riproposto durante i lavori della attuale Commissione Mura, ma così non è stato: infatti, gli avvocati non si sarebbero resi disponibili ad alcun baratto, anzi avrebbero metaforicamente ribaltato il tavolo chiedendo maggiori garanzie per i loro assistiti. Altresì, in merito alla proposta di creare un numero chiuso di legali patrocinanti in Cassazione, ci sarebbe stata una forte opposizione da parte dei legali. La ragione è semplice: qualora si creasse un albo speciale, i difensori esclusi avrebbero comunque la possibilità di chiedere a quelli abilitati di firmare i loro ricorsi dinanzi ai consiglieri di Piazza Cavour e allo stesso tempo si creerebbe un gruppo di élite di avvocati facilitati nei guadagni e nella popolarità mediatica, a scapito degli altri.

A questo già complicato quadro, si aggiunge la circostanza che, secondo le nostre fonti, la magistratura si sarebbe opposta anche all’abolizione della custodia cautelare in presenza del requisito della reiterazione del reato. La causa risiederebbe nella convinzione di alcune toghe che il carcere preventivo debba essere considerato ancora come una forma anticipata di punizione, a prescindere dall’esito processuale futuro. Eppure, era stato lo stesso ministro Nordio, sollecitato più volte sul tema da Forza Italia in Parlamento, a garantire che se ne sarebbe occupata la commissione Mura. Purtroppo così sembra non dover essere, se le nostre indiscrezioni venissero confermate. Da qui la previsione di un elaborato blando di riforma. Il peccato originario, a monte di tutte queste grandi criticità sarebbe, secondo alcuni, pure il fatto che la commissione non solo è formata da troppi membri – quarantotto componenti – ma in essa prevarrebbero i magistrati: ventotto contro nove avvocati. Quindi ora cosa accadrà? Nordio sarebbe comunque determinato a portare in Parlamento ad ottobre l’elaborato finale della commissione. Nonostante non si sia raggiunto il lavoro di sintesi da lui auspicato, vorrebbe porre all’attenzione delle Camere un progetto embrionale di riforma del processo penale. E qui, però, il cerchio si chiude con il tema citato all’inizio di questo articolo: la separazione delle carriere. Più volte, più fonti ci hanno spiegato che in nome di questa riforma, che per la maggioranza è considerata «epocale», tutto sarebbe stato congelato e rinviato a dopo il referendum. Prima di allora, auspicando nella vittoria finale, il governo e i partiti che lo sorreggono sarebbero propensi a non mettere altro sul tavolo per due motivi: non dare all’Anm ragioni per ingaggiare battaglie mediatiche, ma soprattutto non indispettire quella parte di elettorato di destra-centro che, ad esempio, non sarebbe tanto d’accordo con una riduzione della custodia cautelare. E però è proprio quell’elettorato che dovrà garantire il “sì” al referendum della prossima primavera.