«Inadeguata». Basta questa sola parola a riassumere il giudizio del Consiglio nazionale forense sulle proposte di modifica della norma che regolamenta l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato. Proposte quella del piddino Carmelo Miceli e quella del grillino Gianfranco Di Sarno - non in grado di «offrire al cittadino un avvocato all’altezza dei compiti cui dovrà attendere». Il Cnf ha consegnato tali valutazioni ieri alla Commissione Giustizia alla Camera, dove sono stati auditi il consigliere Vincenzo Di Maggio e il coordinatore dell’Ocf, Giovanni Malinconico. Entrambi concordi nel definire anacronistica la proposta di riforma, incontrando il consenso del deputato di Forza Italia Pierantonio Zanettin. Per il Cnf, «i due progetti di legge in materia di accesso alla professione forense intervengono su un quadro normativo la cui funzionalità ed efficacia, per loro stessa natura valutabili sul medio e lungo periodo, ancora si trovano in una fase di avvio». Ovvero sulla riforma del 2012, soluzione legislativa migliore rispetto alle proposte attualmente in Commissione, secondo i vertici forensi.

Per il Cnf «è fondamentale ribadire che la disciplina dell’accesso alla professione non può ridursi soltanto alla disciplina delle modalità di svolgimento dell’esame, ma deve riguardare anche il più ampio contesto del percorso universitario e della formazione del praticante». La vera riforma, dunque dovrebbe ridisegnare il percorso di studi, per renderlo davvero professionalizzante, con un iter «che sia di vero e reale indirizzo e di preparazione al successivo tirocinio da svolgere. Soltanto in tale prospettiva può essere inquadrata una diversa disciplina della formazione e dell’abilitazione dell’avvocato, sia per quel che riguarda la durata del relativo percorso, sia per quel che riguarda la definitiva consacrazione abilitativa all’esercizio della professione. Sono queste alcune delle istanze che il Consiglio nazionale porterà all’attenzione del tavolo ministeriale».

L’esame, invece, è, e deve rimanere, il momento conclusivo di un percorso formativo che, «lungi dal ridursi a mera pratica, ha come obiettivo quello di formare il futuro avvocato anche dal punto di vista dello sviluppo di conoscenze, oltre che di competenze e, soprattutto, anche dal punto di vista di una profonda sensibilità verso l’irrinunciabile rilievo costituzionale e sociale della professione forense».

Le critiche sono diverse. Le proposte di legge, infatti, alleggeriscono troppo le prove d’esame. Ma non solo: anche la preclusione di svolgere tirocinio presso l’avvocato sottoposto a procedimento disciplinare, «oltre ad entrare in conflitto con il principio di presunzione di innocenza, rischia di creare difficoltà per il praticante che, già iscritto, si trovi improvvisamente ad essere privato del dominus». Senza dimenticare che entrambe le proposte di legge ripristinano l’uso dei codici con commenti e annotazioni giurisprudenziali, prevedendo addirittura che per la redazione dell’atto giudiziario venga messo a disposizione dei candidati un formulario fornito dal ministero della Giustizia. In tal modo, per il Cnf, l’esame non sarebbe «effettivamente selettivo dei candidati migliori e più seriamente motivati».

Obiezioni che trovano d’accordo Malinconico, che nel suo intervento ha ribadito un principio: la professione forense, rispetto alle altre professioni, ha un preciso rilievo costituzionale e proprio per tale motivo la formazione dell’avvocato «deve garantire la collettività e non semplicemente gli aspiranti avvocati e gli stessi avvocati». Importante, pertanto, non concentrarsi sull’esame, ma sulla formazione, così come sottolineato dal Cnf: «La riforma è nella modalità di formazione direttamente collegata alla forma che vogliamo dare all’avvocato». Per tale ragione è imprescindibile partire da una revisione del percorso di laurea, che deve essere sì generalista ma con un percorso distinto per coloro che quella laurea vogliono utilizzarla per diventare avvocati o magistrati e programmi specialistici indirizzati in questa direzione. Malinconico ha mosso obiezioni anche alla nuova ipotesi di tirocinio: essendo un’attività professionalizzante, «la disciplina del compenso, più che errata, è ingenua e rischia di innescare conseguenze per le possibilità dei neolaureati di trovare spazio per poterlo svolgere quel tirocinio». Perplessità a cui si somma quella sulla riduzione delle materie d’esame: «Non è possibile abilitare avvocati che non hanno contezza di giustizia costituzionale, diritto costituzionale e diritto comunitario». Per tale motivo, conclude il coordinatore dell’Organismo congressuale forense, l’impressione è che si tratti di «interventi estemporanei non consapevoli delle conseguenza di sistema che rischiano di innescare».