«Questo è Il papà che si arrabbia con la mamma e gli ha dato un pugno negli occhi. Adesso anche lei lo picchia sugli occhi, tutti e due. La mamma gli ha urlato: “Vattene vai” e dopo lui l'ha picchiata sulla scala con i calci e degli altri calci anche davanti all'ascensore e dopo è venuto Il dottore e le ha fatto la puntura. Lei si è fatta male alla pancia e alla faccia e da tutte le parti». È così che un bambino del caso Angeli&Demoni ha spiegato alle maestre dell’asilo un suo disegno. Ed è per questo che sono stati allertati i servizi sociali, che hanno poi segnalato alla procura minorile il caso, evidenziando i fatti riferiti dalle maestre, quali ad esempio la situazione molto precaria dei denti da latte, ridotti a mozziconi, tanto da rendere dolorosa la masticazione.

La procura aveva quindi chiesto di monitorare la situazione e i successivi accertamenti hanno spinto il Tribunale per i Minorenni ad emettere un decreto di allontanamento di madre e figlio, anche a seguito della conferma da parte dello stesso padre che, ascoltato con l’assistenza del suo legale, ha ammesso che l’episodio disegnato dal bambino era realmente accaduto. La vicenda è emersa lunedì nel corso del processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza, che vede alla sbarra 17 persone. Un’udienza caratterizzata da decine di non ricordo, contraddizioni e vere e proprie smentite dei verbali di sommarie informazioni, al punto da spingere le difese degli imputati a chiedere al Tribunale di valutare la sussistenza di eventuali presupposti per la trasmissione degli atti alla procura per ipotesi di falso.

L’udienza ha fatto emergere le situazioni tutt’altro che serene vissute dai minori nel contesto familiare e le segnalazioni provenienti da ambienti diversi dai servizi sociali, come scuola e ospedale, che hanno redatto articolate segnalazioni sulla base delle quali gli operatori del servizio sociale hanno condotto i loro interventi. Ma mentre le segnalazioni non sono accusate di falso, tale reato è contestato agli operatori che le hanno recepite. Nel caso del disegno, il padre ha più volte negato in aula gli abusi di alcol, sostenendo di non aver bevuto mai nemmeno un bicchiere di vino, la violenza sulla moglie ma ha dovuto ammettere i reati di guida in stato di ebbrezza che erano risalenti nel tempo.

Nel fascicolo del procedimento contro il padre vi era inoltre un certificato del casellario prodotto dalla procura che segnalava l’assenza di precedenti, ma richiesto con un errore nella data di nascita, errore che avrebbe reso “invisibili” fatti in realtà avvenuti. Gli avvocati Oliviero Mazza e Rossella Ognibene, difensori di Federica Anghinolfi, grazie all'accesso agli atti pubblici del Sert, hanno svelato che il padre anni prima era stato ricoverato in Pronto soccorso per ebbrezza etilica, fatto che l’uomo aveva invece negato a gran voce davanti ai giudici. Il certificato conteneva, inoltre, l’attestazione di una dipendenza primaria da bevande alcooliche ancora a gennaio 2019. Inoltre, l’uomo è stato denunciato e condannato due volte per guida in stato d'ebbrezza, con tanto di sospensione della patente nel 2008 e nel 2010, e “riabilitato” solo nel 2023 dalla commissione medica in relazione alle condotte di guida. Gli operatori del servizio sociale sono invece sotto processo per aver scritto nell’anno 2018 – usando una formula dubitativa - che quel padre poteva avere una situazione di “dipendenza da alcol”.

L’udienza ha anche affrontato il caso di una bambina la cui madre aveva segnalato in ospedale i possibili abusi subiti dalla figlia da parte del padre. Abusi di cui la donna aveva parlato non solo con i sanitari - prima in pronto soccorso e poi nel reparto di ginecologia - ma anche con la mediatrice culturale. Secondo la procura, però, tutto ciò sarebbe falso, complice anche i presunti problemi psicologici della donna che l’avrebbero resa inattendibile. La mediatrice, in aula, ha però ribadito le accuse mosse dalla bambina, secondo cui «lui metteva le mani lì in cambio di “candy”, caramelle», sottolineando il timore della donna in presenza del marito e le sue stesse paure di fronte all’uomo, che in quanto africano si sentiva discriminato dai servizi sociali. «La madre diceva che aveva paura del marito - ha sottolineato la mediatrice - e che non voleva più stare a casa con lui. Così l’assistente sociale disse “ti collochiamo in un altro posto”».

Dopo il trasferimento in una casa protetta la donna ha però cambiato idea, dichiarando di sentirsi minacciata da alcuni quadri dai quali “uscivano demoni” che la spaventavano. Durante l’udienza è stato anche ascoltato un pastore evangelico frequentato dalla coppia. L’uomo era stato sentito nel 2016 dal difensore del padre del bambino, occasione nella quale aveva chiesto un interprete. Il 31 dicembre 2020, invece, è stato sentito senza interprete, sostenendo di comprendere in maniera chiara la lingua italiana e di sapersi esprimere in maniera altrettanto chiara. La sit stilata in quell’occasione è molto dettagliata e lessicalmente molto complessa. Lunedì, però, l’uomo ha dichiarato di non capire cosa intendesse quando a sit ha affermato che la patologia della madre fosse da ricondurre a qualcosa di “maligno”, termine completamente ignoto all’uomo, che ha affermato di non ricordare di averlo mai utilizzato.

L’udienza è stata dunque interrotta e al pastore è stato fornito, su sua richiesta, un interprete, in presenza del quale ha comunque negato di capire cosa voglia dire la parola “maligno”, per poi rifilare una sfilza di “non ricordo” rispetto alle dichiarazioni rilasciate ai carabinieri tre anni fa. Gli avvocati hanno quindi chiesto al collegio di valutare la trasmissione degli atti in Procura per falso ideologico. «Questa testimonianza - ha sottolineato Nicola Canestrini, difensore di Francesco Monopoli - dimostra che ci sono punti da chiarire sull’assunzione delle sit durante le indagini. Ci sono domande alle quali, oggettivamente, questo testimone non avrebbe potuto rispondere nei termini riportati dal verbale».