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Lucia Annibali, già parlamentare di Italia Viva e attualmente difensore civico della Regione Toscana, due giorni fa ha saputo che Rubin Talaban, 41 anni, condannato con sentenza definitiva a 12 anni di reclusione, non è più in carcere. Ha scontato 9 anni, tra buona condotta e liberazione anticipata, e quindi è uscito prima del tempo. Ma è stato espulso in Albania lo scorso aprile. Talaban entrò in azione la sera del 16 aprile 2013 insieme a Altistin Precetaj, lanciando dell'acido in faccia alla donna, originaria di Urbino, ma in quel periodo residente a Pesaro, che stava rientrando in casa. Un'aggressione eseguita su mandato del suo ex, l'avvocato Luca Varani, che sta scontando una pena di 20 anni. Per lei in questi giorni è stato difficile rivivere quei momenti con i giornalisti, ma lancia un messaggio importante a tutti quelli che le hanno detto che la scarcerazione non ci sarebbe dovuta essere: «Mi ha fatto del male, non lo scordo, ma è giusto così».
Onorevole quando e come ha saputo della scarcerazione?
Due giorni fa, ero immersa nel mio lavoro e mi ha chiamata un giornalista di Pesaro. Devo dire che la notizia non mi ha scosso più di tanto. Sarebbe stato diverso se mi avessero detto che era uscito Varani, il coinvolgimento emotivo sarebbe stato diverso. Invece in questo caso sono tranquilla, anche perché come ci siamo dette spesso nelle nostre interviste è giusto così: sono trascorsi dieci anni, lui li ha scontati, ed era previsto che tornasse nel suo Paese.
Il fatto che sia in Albania la fa sentire più al sicuro?
Certamente, si mantiene una distanza fisica.
Invece il giorno che uscirà dal carcere Varani sarà diverso perché se lo potrà trovare vicino?
Quando uscirà dovrà fare tre anni di libertà vigilata ma comunque la dimora sarà credo nella mia zona.
Lui in questi anni non ha mai cercato di contattarla?
No, mai.
Invece Talaban qualche anno fa le scrisse per mostrare segni di pentimento.
Mi mandò una lettera quando ero parlamentare. Ho deciso di non rispondergli perché non mi sembrava opportuno anche per il ruolo che ricoprivo. Come dissi allora, in quella lettera lui aveva chiesto perdono, quindi era anche una sorta di ammissione visto che durante il processo nessuno aveva mai parlato. Se davvero si era reso conto di ciò che aveva fatto, poteva essere quella anche una conquista importante per se stesso. Poi devo essere sincera il suo pentimento cambia poco nella mia vita che da allora è completamente cambiata.
Non sembra paradossale che Talaban si sia fatto avanti e Varani no?
No, perché Talaban non aveva alcun tipo di coinvolgimento. Mentre Varani sì.
Ieri noi giornalisti l’abbiamo tempestata di telefonate. Arriverà il giorno in cui cadrà l’oblio su Lucia Annibali, come donna vittima di un terribile reato?
Non so se questo accadrà mai. La mia storia è diventata patrimonio del Paese, grazie anche al mio impegno pubblico politico ed istituzionale. Per fortuna nel frattempo la mia vita si è riempita di cose diverse.
Dopo l’esperienza parlamentare oggi cosa fa?
Sono difensore civico della Regione Toscana. Tutte le settimane vado a Firenze e mi occupo di altro, anche se metto insieme tutte le esperienze accumulate in questi anni.
Possiamo dire che la sua storia personale si è trasformata anche in una battaglia pubblica con le sue iniziative parlamentari, grazie al bagaglio culturale di avvocato.
Nella mia esperienza parlamentare il mio vissuto era sempre con me ma non ho voluto mai parlarne. Le mie battaglie le ho condotte sempre in nome dei principi in cui credo.
In questi anni, col Dubbio, lei ha sempre parlato di politica giudiziaria. Mai affrontato la sua storia personale. Italia Viva non è affatto il partito dagli slogan facili quali “buttate via la chiave”. Per lei è stato difficile far prevalere i principi costituzionali quale ad esempio quello ad una giusta pena sulla drammatica emotività della sua vicenda personale?
Forse è più difficile farlo capire all’esterno, a quelli che per esempio in questi giorni mi hanno scritto che Talaban non doveva uscire dal carcere. Ripeto: per me è giusto così. Posso dire questo perché in questi anni ho fatto un mio percorso sia personale che accanto ai detenuti. Purtroppo nella società permane questo senso di pena come vendetta senza fine.
Quando lei era parlamentare, è stata introdotta la riforma Cartabia che prevede anche la giustizia riparativa. Occorre un salto culturale prima che una modifica giuridica?
Premesso che nessuno è obbligato ad intraprendere un percorso di giustizia riparativa, credo che questa previsione possa aiutare a seminare una cultura diversa tra i cittadini. Io personalmente non intraprenderai questo percorso ma mi metto al servizio in altri modi. Ammetto che quando partecipo ai progetti come vittima di reato è molto faticoso e doloroso ma credo che la testimonianza e la condivisione di certi principi soprattutto per la nuova generazione siano un contributo importante, affinché non crescano con questa subcultura in tema di giustizia.
Nelle ultime settimane altre donne uccise. Dove sbagliamo?
Il tema della violenza sulle donne è molto complesso. Il difetto è relegarlo solo sul piano securitario, aumentando pene e reati. Non è questo l’approccio giusto per occuparsi della vittima e della società, perché si arriva dopo. Occorre prevenire nel modo giusto, a cominciare dalle scuole.