Questa storia dell’avvocato di Catanzaro Gennaro Pierino Mennea, iniziata il 16 febbraio scorso quando alle tre del mattino gli notificavano un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, è la dimostrazione dell’urgenza di alcune riforme sulla giustizia. Quella costituzionale sulla separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero, prima di tutto. Ma anche, con urgenza, quella sulle intercettazioni.

Prima di raccontare la storia, anticipiamo che, dopo i cinque mesi cautelari subiti dall’avvocato, la sua vicenda ha avuto una svolta positiva con una sentenza della Cassazione e la liberazione da parte del tribunale del riesame. Che la Direzione distrettuale di Catanzaro il 31 luglio scorso ha notificato il provvedimento di chiusura delle indagini all’avvocato alle ore 11,27, salvo revocarlo alle 12,39. L’ultima stranezza. Non sappiamo quindi se l’indagato diventerà un imputato o se si procederà all’archiviazione del caso.

L’avvocato Mennea in questi mesi non è stato però con le mani in mano. Il suo difensore Concetta Nunnari ha svolto diverse attività investigative e ha svelato una serie di anomalie sulle modalità dell’inchiesta. Lui ha quindi sporto querela nei confronti del pm della Dda di Catanzaro, Domenico Guarascio, della gip Arianna Roccia, del maresciallo dei carabinieri Nicola Petrera e “chiunque abbia concorso” soprattutto nell’attività di intercettazione, sbobinamento e altre attività connesse alle captazioni. Dove sono state riscontrate numerose irregolarità. Inoltre, in data 27 agosto, è stato presentato un esposto al Csm nei confronti dei due magistrati.

Ed ecco la storia, che risale al 2018, quando il pm della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio (noto anche per l’inchiesta Aemilia sulla ‘ndrangheta al nord) indagava nella zona di Cirò Marina su una serie di estorsioni messe in atto da ambienti vicini, secondo l’accusa, alla criminalità organizzata. Tra queste, l’ipotesi che fosse stato vittima di estorsione il dottor Domenico Ceraudo. Questa persona aveva comprato un terreno tramite un’asta e aveva versato un anticipo di 26.000 euro, circa il dieci per cento del valore totale dell’appezzamento. In seguito aveva però rinunciato alla proprietà. Vittima di un’estorsione, sostiene la procura antimafia di Nicola Gratteri. E arresta alcuni esponenti della famiglia Rizzo, che coltivavano le terre e allevavano il bestiame proprio nel podere messo in vendita. Ma anche l’avvocato Gennaro Mennea, accusato di aver partecipato ad alcuni incontri in cui il dottor Ceraudo sarebbe stato sottoposto a minacce estorsive fino a decidere di rinunciare all’acquisto, nonostante avesse vinto la gara. Fino a perdere la caparra già versata. Questa l’ipotesi dell’accusa.

Nei confronti dell’avvocato Mennea viene depositata una relazione dei carabinieri su una captazione in cui è chiara una frase del legale il quale, nell’unico incontro cui aveva partecipato con il sostegno di un perito agronomo, aveva detto alle due parti “sono sicuro che troverete un accordo”. Quale era il problema? Era il fatto che la famiglia Rizzo, che coltivava quelle terre, era all’oscuro del fatto che fossero state messe in vendita e che fosse stata promossa una gara, che in realtà era stata fatta da un Istituto loro sconosciuto di nome Ismea, tramite Bta, la Banca nazionale delle terre agricole. Nell’incontro tra i lavoratori e il nuovo proprietario, con il supporto del perito agronomo e la mediazione dell’avvocato Mennea, il legale si era trattenuto cinque minuti e aveva pronunciato la famosa frase “sono sicuro che troverete un accordo”. Per il resto la relazione dei carabinieri dice che l’avvocato aveva pronunciato frasi incomprensibili.

Ora la parola alla difesa. Punto primo: il dottor Ceraudo, la presunta vittima dell’estorsione, non è mai stato sentito dal pm prima degli arresti. Quando viene chiamato a deporre il 28 febbraio, pur essendo costretto a firmare senza occhiali e senza quindi poter rileggere ciò che gli veniva attribuito, dirà cose sorprendenti. Prima di tutto che la cauzione di 26.000 euro gli era stata da tempo restituita, come del resto risulta dalla determina di Ismea del 14 dicembre 2020. E poi che aveva rinunciato all’acquisto del terreno perché nel frattempo era stato assunto da un’azienda come lavoratore subordinato, e questa qualifica è incompatibile con quella di imprenditore agricolo professionale, come richiesto dal bando di gara di Ismea. Ma questo quadro non risulta dal riassunto, sintetico e impreciso, steso dai carabinieri, ma solo dalla visione (grazie, ministra Cartabia per averne introdotto l’obbligo) integrale della videoregistrazione sulla deposizione del dottor Ceraudo. Che il difensore di Gennaro Mennea, la combattiva avvocata Concetta Munnari, ha ottenuto solo con attività investigative, perché nulla è stato mai concesso dalla gip Roccia, sempre dopo risposta negativa del pm Guarasci a ogni istanza.

Il difensore dell’avvocato Mennea a un certo punto ha anche preparato uno scherzetto alla gip, presentando in successione due istanze identiche ma con due date differenti. Regolarmente respinte, ma senza che la gip facesse notare che la seconda era la fotocopia della prima. E riscrivendo pedissequamente prosa e contenuti già espressi dal pm: “Ceraudo, rassegnato alle logiche di ‘ndrangheta, che imperversano sul terreno in cui vive, accetta e subisce, trattando su di un diritto che invero gli spetta de plano ed infine dovendovi rinunciare, con perdita definitiva della caparra”. Siamo nel 2023 e quell’anticipo di 26.000 euro era stato già rimborsato al dottor Ceraudo nel dicembre del 2020! Distrazione o “appiattimento”? Sintetizzando i diversi passaggi procedurali, che vedono il tribunale del riesame, privo della documentazione scoperta in seguito dal difensore, confermare l’ipotesi dell’accusa, si arriva in Cassazione.

È il 23 giugno scorso e i giudici della Suprema corte annullano con rinvio l’ordinanza, così motivando sui famosi incontri tra le parti: “Dalla lettura dell’ordinanza impugnata risulta però che la presenza del legale fu sporadica - essendo questi intervenuto in occasione del solo terzo incontro e unitamente a un perito agronomo - ed anche occasionale”. E concludono, nell’annullare con rinvio: “Assenti poi sono ulteriori contatti tra la persona offesa e il ricorrente”, né risulta che l’avvocato Mennea abbia avuto alcun ruolo sulla rinuncia del dottor Ceraudo al possesso del terreno. Va anche aggiunto, lo si legge nelle motivazioni dell’avvocato nella sua querela nei confronti di pm, gip e comandante dei carabinieri, che la famiglia Rizzo ha vinto la causa civile nei confronti di Ismea sul proprio diritto a continuare a risiedere su quel terreno.

Dopo la decisione della Cassazione, la gip Caccia ha mutato la custodia cautelare in obbligo di presentarsi al giudice due volte la settimana e il riesame annullerà il 26 luglio l’ordinanza cautelare. Sono passati 5 mesi da quando, quel mattino alle tre, irruppero i carabinieri a casa dell’avvocato Mennea accusandolo di estorsione. A completamento della vicenda è giusto ricordare che il pm e la gip, in totale sintonia (“appiattimento” casuale), avevano descritto l’avvocato Mennea come persona già “imputata” di associazione per delinquere, mentre lui era stato solo indagato e la sua posizione archiviata dal gip di Catanzaro su richiesta del pm Bordonali. Avevano scritto che era pendente un’altra causa per una denuncia, che era invece stata subito archiviata. Avevano sempre negato alla difesa le trascrizioni delle Sit (sommarie informazioni testimoniali) della parte offesa che scagionavano l’indagato. Si erano accontentati di riassuntini dei carabinieri dove pare fossero addirittura aggiunte domande mai fatte.

Infine, tra l’avvocato Mennea e il pm Guarasci c’era stato un altro conflitto: una querela del primo nei confronti del secondo alla procura di Salerno nel 2019, dopo che un altro legale, difensore di un certo signor Macrina e del comandante dei carabinieri del Comune di Borgia, gli aveva riferito che i suoi assistiti erano in rapporti con il pm Guarasci e avevano preconizzato un suo intervento contro l’avvocato Mennea con prove false e inventate. Qualcosa è sicuramente accaduto, ma quattro anni dopo. Intanto il giovane pm della Dda potrebbe diventare procuratore capo di Paola, dove ha presentato domanda per il ruolo vacante da maggio. Ma negli ambienti giudiziari calabresi si sussurra anche che il dottor Guarasci ambisca al posto del suo capo e maestro Nicola Gratteri se questi, come pare probabile, è destinato a dirigere la procura di Napoli, la più grande d’Europa.