PHOTO
CESARE PARODI PRESIDENTE ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
Sono comprensibili le difficoltà e l’imbarazzo del presidente Cesare Parodi, capo del sindacato delle toghe, costretto a polemizzare con una persona come Marina Berlusconi con cui, in un’altra vita e in un altro momento storico, avrebbe probabilmente più punti di vista in comune che in contrapposizione. Ma il suo comunicato, dopo la tirata d’obbligo contro chi starebbe divulgando «l’immagine di una magistratura politicizzata e inaffidabile che come tale deve essere riformata», non gli rende merito. Tanto che sembra stilato da una “manina” diversa dalle sue.
Perché una persona per bene, quale il presidente Parodi sicuramente è, e un magistrato lontano dai furori dell’ideologia e della contrapposizione politica, quale dovrebbe essere il capo delle toghe, dovrebbe mostrare maggior rispetto, di fronte a un’imprenditrice come la presidente di Fininvest e Mondadori. Soprattutto nel momento in cui una sentenza di giudici terzi chiude dopo trent’anni le ferite più gravi inferte da diversi procuratori alla sua famiglia e alle sue imprese.
E finalmente rende onore alla memoria di suo padre Silvio Berlusconi. Il presidente Parodi sbaglia a voler entrare nel merito dei processi, perché non li conosce, e la “manina” che ha guidato il suo comunicato non giova alla sua reputazione. Quando Marina Berlusconi tre giorni fa ha scritto sul Giornale che «la nostra grande e vera emergenza è da tempo e resta ancora la giustizia» , l’ennesima sentenza stava sfatando la lunga leggenda di un imprenditore che faceva le sue fortune con i soldi della mafia e poi di un presidente del Consiglio che fondava un partito con i soldi della mafia e che poi pagava il silenzio di un suo collaboratore con i suoi soldi “sporchi”.
La prima reazione del presidente Parodi era stata leggera come un’alzata di spalle. Beh, anche se dopo trent’anni, aveva sussurrato, ma la giustizia ha alla fine funzionato. Si era corretto il giorno dopo, sempre sussurrando, per convenire sul fatto che quanto meno i tempi trentennali erano stati eccessivi. Ma i rimbrotti dei Travaglio giornalisti e dei Travaglio in toga non si erano fatti attendere. Due gli argomenti “forti”: non dimenticate che Marcello Dell’Utri è stato condannato e ha scontato il carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, e comunque questa ultima sentenza è solo piccola cosa perché si è limitata a bocciare la richiesta di confisca dei beni dell’ex presidente di Publitalia.
Allora, visto che non possiamo rassegnarci a considerare il dottor Parodi come una qualunque imbufalita irriducibile “toga rossa”, o di altro colore, ma comunque irragionevole, ci permettiamo di documentargli quella parte della storia politico-giornalistico-giudiziaria di questi trent’anni che gli viene tenuta nascosta. Sì, è vero, Marcello Dell’Utri è stato condannato in via definitiva per il reato più evanescente della giurisprudenza, visto che nel codice non esiste, il concorso esterno in associazione mafiosa. Ha pagato con il carcere il suo rapporto con Berlusconi, a sua volta vittima, come altri grandi imprenditori, delle estorsioni della mafia, che gli chiedeva il pizzo con la minaccia di rapire i suoi figli e di bruciare i ripetitori televisivi delle sue aziende in Sicilia.
È questo il succo di quella sentenza definitiva, su cui pende un ricorso alla Cedu. Mafiosi o vittime della mafia? Ma veniamo alla sentenza della Cassazione che ha messo una pietra tombale sulla leggenda della “mafiosità” dell’ex presidente del Consiglio. Non abbiamo ancora le motivazioni, ma possiamo aiutare il presidente Parodi e i suoi colleghi ricordando quello che avevamo già letto nelle sentenze di primo e secondo grado di tribunale e corte d’appello di Palermo. Quelli che la Cassazione ha confermato, pur dopo la pervicacia ossessiva della procura.
Se volessimo inquadrare questi provvedimenti in una cornice storica più ampia, potremmo anche ricordare il disastro portato a casa da tutto il circo equestre di magistrati, giornalisti, scrittori e qualche cineasta in questi anni dopo il fallimento del “processo trattativa”, e ultimamente l’annullamento con rinvio del processo “‘ndrangheta stragista”. Ma possiamo per ora limitarci a citare qualche frase come questa, per esempio, nella sentenza di primo grado del 21 marzo 2024: «Nulla è stato accertato circa il reinvestimento e il riciclaggio di capitali di provenienza mafiosa nelle imprese di Berlusconi». O questa, nella decisione del secondo grado, in cui si parla di tutte le operazioni registrate dal gruppo Fininvest delle origini, e si conclude asserendo che «è stato possibile identificare l’origine lecita della provvista, ed escludere apporti finanziari esterni».
Sulle aziende di Berlusconi finanziate dalla mafia si sono costruite carriere e qualcuno ci sta ancora provando a sostenere che, proprio tramite Dell’Utri, Cosa Nostra avrebbe riciclato denaro. Teorema smontato dai giudici: «Non è risultata, a oggi, mai processualmente provata alcuna attività di riciclaggio di Cosa Nostra nelle imprese berlusconiane, né nella fase iniziale di fondazione del gruppo, né nei decenni successivi».
È chiaro? O vogliamo ancora sostenere, come ancora ripete il comunicato del presidente dell’Anm, che in fondo non c’è nulla di cui lamentarsi perché Silvio Berlusconi non è stato mai imputato per concorso esterno in associazione mafiosa? Possiamo ricordargli, visto che lui stesso ricorda che una certa attività giudiziaria è «molte volte sfociata in archiviazioni», che l’ex presidente del Consiglio è ancora (virtualmente) indagato insieme a Dell’Utri a Firenze come mandante delle stragi del 1993? E questo nonostante quattro archiviazioni?
C’è poi un altro mito che viene oggi sfatato dalle sentenze di primo secondo e terzo grado, ed è quello del silenzio del senatore di Forza Italia che sarebbe stato comprato a suon di versamenti di denaro. Su questa suggestione del “silenzio” da parte del fido scudiero che non tradisce ma intanto si riempie le tasche, non v’è che l’imbarazzo della scelta, tante sono le volte in cui l’ipotesi è stata considerata “suggestiva” ma indimostrata e inesistente. È crollato tutto intero il castello le cui fondamenta avrebbero poggiato sulla “mafiosità” di Silvio Berlusconi.
Non è stata “persecuzione”, dottor Parodi? Evidentemente qualche suo collega di diverse procure si è solo trastullato, nell’arco di tre decenni, in “uffici diversi” e su “episodi specifici”, così, solo per vedere “l’effetto che fa”. E pensare che, nei suoi tre governi, Berlusconi non era neppure riuscito a portare a termine la separazione delle carriere. Pure, con il veleno nella coda del comunicato, il presidente dell’Anm ha il coraggio di avanzare un nuovo sospetto, nei confronti di chi, come Marina Berlusconi, valorizza la svolta storica di queste sentenze. Quello che si voglia «alterare la percezione corretta di un periodo della storia recente per condizionare gli esiti del quesito referendario». In psicanalisi questa si chiama “proiezione”, di sé e dei propri desideri, dottor Parodi.


