Galeotto fu l’aperitivo. Emerge ora in tutta chiarezza, a poco più di due mesi di distanza, quale sia stato il momento davvero decisivo per l’avvio del governo Meloni. Cioè il colloquio, con tanto di prosecco, tra Silvio Berlusconi e Carlo Nordio, avvenuto il 19 ottobre a Villa Grande, che ha convinto il Cavaliere a togliere dal tavolo la carta di Maria Elisabetta Alberti Casellati alla Giustizia.

Da lì in poi sarà tutto in discesa, tranne il famoso pizzino con la descrizione del comportamento di Meloni che ha rischiato di far saltare tutto, e il governo nascerà in pochi giorni. E si baserà, è ormai evidente, su un patto di ferro che lega Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia: la riforma della giustizia. E chi se non Carlo Nordio, il magistrato che Giorgia Meloni ha voluto a tutti i costi in via Arenula, per completare il disegno dei tre alleati?

Ciò risulta ancora più evidente da due fatti recenti, avvenuti a poche ore di distanza. Il primo, la conferenza stampa di fine anno della presidente del Consiglio, in cui Meloni ha ribadito come la riforma della Giustizia sia una priorità del suo governo; il secondo, l’intervista di ieri di Berlusconi a Libero, in cui il leader di Forza Italia illustra i suoi piani per i prossimi mesi e descrive la riforma della giustizia come uno degli obiettivi dei prossimi mesi di governo. «Secondo le linee indicate dallo stesso ministro Nordio, come ha ribadito il Presidente Meloni nella conferenza stampa di fine anno», ha sottolineato Berlusconi. Dunque con una stretta sulle intercettazioni, con la separazioni delle carriere tra giudici e magistrati e con l’inappellabilità per le sentenze di assoluzione dopo il secondo grado di giudizio.

Secondo Berlusconi, infatti, «il problema più grave (del paese, ndr) sono le commistioni fra la politica e altri ordinamenti dello Stato, come alcuni settori della magistratura o della pubblica amministrazione, che, per definizione, dovrebbero essere neutrali e basarsi sulla competenza e sul merito».

Una chiara sponda alle idee di Nordio, alla quale fa seguito il giudizio del Cavaliere sul Qatargate. «Nonostante quello che ho subito, rimango garantista con tutti e continuo a credere nella presunzione di innocenza fino a condanna definitiva - è il ragionamento del leader azzurro - Valuteranno i giudici gli aspetti penali, se ci sono».

Ma è proprio sulla separazione delle carriere che si nota l’accelerazione del governo rispetto alle scorse settimane. Nel descrivere le linee guida del suo operato, Nordio aveva definito come prioritaria la riforma degli uffici giudiziari, relegando la separazione delle carriere a tema da affrontare in corso di legislatura, evidentemente per non irritare una Anm già sul piede di guerra. Ma a ribadire le intenzioni del governo ci ha pensato la stessa presidente del Consiglio, che nella conferenza stampa di fine anno citata da Berlusconi ha definito la separazione delle carriere come una riforma «da completare nei prossimi mesi». Mesi, appunto, non anni. Dunque presumibilmente nel corso di quest’anno, con buona pace dell’Anm.

«La riforma della giustizia non riguarda solo il sistema giudiziario ma rappresenta uno snodo fondamentale per i rapporti tra cittadino e Stato - ha dichiarato ieri il forzista Francesco Paolo Sisto, vice di Nordio - È necessario, infatti, che questa relazione non sia più avvertita come un rischio, una imposizione, ma come un percorso orientato al sano raggiungimento degli scopi sociali di ciascuno: riformare la giustizia significa garantire la libertà e la centralità dell’individuo».

Tutti temi certamente trattati nel famoso aperitivo a Villa Grande in cui Berlusconi ha voluto conoscere di persona Nordio e sincerarsi delle sue intenzioni. Che, visto come si è evoluta la faccenda, hanno certamente convinto il Cavaliere, per cui è necessario ora più che mai completare quella «rivoluzione liberale» che lui non ha mai potuto, o chissà, voluto, portare a termine.

Oggi gli astri sembrano allineati, a meno che qualcuno non decida di mettersi di traverso come già fatto intendere dallo stesso Nordio in audizione, quando disse di essere pronto a battersi «fino alle dimissioni» pur di completare fino in fondo il suo piano riformatore. Berlusconi, Meloni e Salvini, i tre leader di maggioranza, sono d’accordo. Nei prossimi mesi, parola al Parlamento.