Il Csm, suo malgrado, è sempre al centro delle polemiche. L'ultima in ordine di tempo riguarda il voto del suo attuale vicepresidente, l'avvocato padovano Fabio Pinelli, eletto in quota Lega insieme alla collega Claudia Eccher.

Già difensore di Luca Morisi, l'ex spin doctor di Matteo Salvini, ma anche del giornalista di Repubblica Paolo Berizzi, da alcuni mesi, per esattezza dallo scorso luglio quando votò per la prima volta per Filippo Spezia procuratore di Firenze, Pinelli è accusato di “spaccare” con le sue scelte il Csm e di “contraddire' addirittura il presidente della Repubblica che recentemente ha invitato tutti i consiglieri di Palazzo Bachelet ad agire in piena indipendenza e senza ricorrere a «logiche di scambio che assicurano l'interesse di singoli o di gruppi».

Il motivo di tanto astio nei confronti di Pinelli è dovuto al fatto di essere diventato vicepresidente del Csm al termine di una rocambolesca votazione, terminata 17 a 14 contro il costituzionalista pisano Roberto Romboli, voluto dal Pd, grazie ai voti determinanti dei togati di ' destra' di Magistratura indipendente, e quindi con quelli dei magistrati sulla carta più affini al suo partito di riferimento. Da allora, secondo i detrattori, per riconoscenza, Pinelli voterebbe sempre i loro candidati ad un incarico direttivo.

Andando a rivedere i voti di Pinelli, si scopre però che egli si espresso anche nelle pratiche di conferimento degli uffici direttivi di procuratore di Napoli, di presidente del Tribunale di Milano, di Avvocato generale in Cassazione, di presidente della Corte d’appello di Napoli. Nel caso dell'Avvocato generale in Cassazione, Pinelli aveva votato il candidato poi sconfitto rispetto a quello appoggiato dai gruppi progressisti e dagli stessi togati di Magistratura indipendente. Da parte loro, questi ultimi in una nota hanno respinto fermamente «le velate accuse di collateralismo e di attentato alla indipendenza della magistratura, auspicando che il dibattito si svolga su un piano di confronto franco ma leale». E, rivolgendosi ai colleghi progressisti, spesso molto critici contro Pinelli, hanno fatto presente di rifiutare fermamente «le logiche del sospetto e del complotto che spesso ispirano le valutazioni di chi avrebbe desiderato un altro risultato».

Dietro il voto di Pinelli, comunque, c'è il grande equivoco secondo cui chi preside il Plenum eserciterebbe non il suo voto ma quello del presidente della Repubblica. La prova? Questa settimana, assente Pinelli, il Plenum è stato presieduto da Romboli il quale, invece di astenersi, ha votato tutte le pratiche. Le polemiche intorno al voto di Pinelli hanno però una genesi ben precisa: le nomine, giudice amministrativo permettendo, continuano ad essere un nervo scoperto al Csm e fonte di scontro tra i vari gruppi associativi della magistratura.

Forse sarebbe il caso di prendere esempio proprio dai colleghi del Tar e del Consiglio di Stato dove il criterio per diventare presidente è quello dell’anzianità e non esiste discrezionalità.