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Sul 25 aprile, alla fine, Matteo Salvini ha pensato fosse giusto mettersi sulla scia di Umberto Bossi. Dopo giorni di polemiche sul fatto che avesse scelto proprio il giorno dell’anniversario della Liberazione per presentare il suo nuovo libro Controvento nella sua Milano, lasciando così intendere di voler disertare le celebrazioni ufficiali nelle sue vesti di ministro della Repubblica, il leader leghista ha fatto una scelta che appare densa di significato, sia a livello di partito che di maggioranza. E cioè quella di prendere parte a una delle celebrazioni della Liberazione che si svolgeranno nel capoluogo lombardo.
Il primo pensiero è che Salvini abbia voluto continuare nella sua ostpolitik nei confronti della vecchia guardia bossiana e nei settori nordisti del Carroccio, che in ossequio ai dettami del Senatur hanno sempre rivendicato la vocazione antifascista della Lega e una legame di discendenza coi partigiani, quasi tutti provenienti dal Settentrione d'Italia. Ma soprattutto, il segretario leghista ha deciso di smarcarsi anche su questo terreno dalla premier Giorgia Meloni, alle prese con le polemiche e la bufera sollevata dalla vicenda del monologo sul 25 aprile che lo scrittore Antonio Scurati avrebbe dovuto leggere in una trasmissione Rai ma che poi è stato cancellato.
Più di un rappresentante del “popolo di Pontida”, nei giorni scorsi, aveva voluto rimarcare una differenza da Fratelli d'Italia su questo punto, memore forse delle celebri polemiche nelle quali Bossi, quando c'era qualche motivo di forte attrito con Alleanza nazionale, non esitava a definire Gianfranco Fini e i suoi «fascisti», anche dopo la svolta di Fiuggi. E visto che le parole sono importanti, il modo scelto da Salvini a Porta a porta il 24 aprile per annunciare la sua adesione alle celebrazioni, non certo di circostanza, fa pensare a una mossa politica meditata e non improvvisata. «Il 25 aprile - ha detto - rappresenta la liberazione, la risorgenza di un Paese, quindi io da italiano e da Vicepresidente del Consiglio ricorderò i caduti grazie ai quali oggi siamo liberi di parlare».