«La rimozione di uno stato giuridico relativo all’identità crea al minore un danno irreparabile». L’allarme arriva da Grazia Ofelia Cesaro, avvocata e presidente dell’Unione Nazionale delle Camere minorili (Uncm), che attraverso il comunicato “L’identità dei minori non è un ‘vuoto a perdere’” esprime «profonda preoccupazione» per la vicenda di Padova, dove la procura ha impugnato 33 atti di nascita registrati dal 2017 ad oggi.

I casi in esame riguardano bimbi nati da due donne: la richiesta di rettifica da parte della procura è relativa all’indicazione del genitore che non abbia un legame biologico con il figlio, che verrebbe quindi “cancellato” dai documenti insieme al cognome eventualmente attribuito al bambino. Un «atto di crudeltà», secondo le famiglie che a distanza di sei anni si sono viste recapitare le raccomandate. Che non troverebbe fondamento neanche nel precedente citato a più riprese dal governo per imporre dallo scorso marzo lo stop alle trascrizioni degli atti di nascita dei figli di coppie omogenitoriali: è la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite dello scorso dicembre, la quale fa riferimento a un caso di gestazione per altri e indica l’istituto della adozione in casi particolari come soluzione per il riconoscimento del genitore che non abbia un legame biologico con il nato.

«Al di là dell’intervento della procura, la nostra preoccupazione è focalizzata sull’effetto che questo produce: la rimozione di uno stato giuridico del minore, che è fondamentale per il suo diritto all’identità», sottolinea Cesaro. Non è soltanto una questione di cognome. In ballo ci sono una serie di problematiche legate alla stabilità degli affetti familiari che il minore può aver costituito, la cui alterazione potrebbe minare l’equilibrio psico-fisico del minore. Insieme ai problemi pratici legati alla vita di tutti i giorni, come la necessità di ottenere una delega per prelevare il proprio figlio a scuola, bisogna considerare quelli ancor più gravi: come la possibilità di esprimere il consenso su un intervento medico urgente, o di assistere il bambino in ospedale. Senza considerare che al genitore non riconosciuto potrebbe succedere qualcosa di irreparabile. In questo caso «viene meno il diritto successorio nei confronti del genitore intenzionale», sottolinea la presidente dell’Uncm. Che invita il legislatore italiano a colmare il vuoto di tutela già richiamato dalla Corte Costituzionale nel 2021, e «a porre immediato correttivo» alle situazioni in esame con una soluzione che abbia come faro «il migliore interesse del minore ad avere una identità certa e immediata».

È un obiettivo che tutti dobbiamo porci, sottolinea Cesaro: «Il fatto che un bambino nasca e non abbia la possibilità di avere una identità - spiega l’avvocata -, crea un pregiudizio. L’ordinamento deve dare una risposta a questo». E ciò vale per tutte le ipotesi di filiazione, sulla quale il tribunale di Milano ha di recente operato una distinzione: i giudici hanno riconosciuto come validi gli atti di nascita con l’indicazione di due mamme che abbiano fatto ricorso all’estero alla tecnica della procreazione medicalmente assistita, e hanno annullato invece la trascrizione di un atto di nascita formato all’estero di un figlio di due uomini nato tramite gestazione per altri.

Anche in questo caso il precedente indicato è la sentenza della Cassazione, e dunque il ricorso per il genitore intenzionale alla adozione in casi particolari. Un istituto che «si presta a questo meccanismo, ma non nasce per questa specifica esigenza», sottolinea Cesaro. «Come tutti gli istituti che vengono adattati - aggiunge -, non può essere un procedimento veloce, perché richiede degli accertamenti che poi entrano all’interno di un meccanismo di un tribunale». Insomma, siamo «lontani dall’avere un riconoscimento in tempi rapidi. Non si può partire da un dato di realtà che non è vero», precisa l’avvocata. Diversamente da quanto sostenuto dalla ministra della Famiglia Eugenia Roccella, per la quale in questi casi è doveroso l’accertamento di un giudice, attraverso una procedura che può durare «pochi mesi».

Il tema delle adozioni e del riconoscimento all’anagrafe è anche al centro di un documento sottoscritto da quasi 200 giuristi - tra avvocati, magistrati e operatori del diritto - per i quali «le persone lgbti+ e le loro famiglie sono oggetto di un duro attacco che non può che suscitare allarme e malessere in quanti hanno a cuore i valori dell’uguaglianza e della non discriminazione». L’appello pubblicato sul portale “Articolo29” fa riferimento in particolare alla tutela dei bambini nati da due donne tramite fecondazione medicalmente assistita (Pma).

«A tale riguardo - scrivono i firmatari - dobbiamo evidenziare come la discussione sia minata da una lettura spesso imprecisa delle disposizioni della legge 40 che regolano la protezione alla nascita di tutti i nati e le nate con tecniche di pma». Ad esempio «non è corretto assumere che la condizione di chi viene messo al mondo da due mamme sia regolata dalla norma della legge 40 che impedisce alle coppie di donne di accedere alla pma - si legge nel documento -, poiché la regola sullo status dei bambini e delle bambine è stabilita in una differente disposizione della medesima legge (Disposizioni concernenti la tutela del Nascituro) che prevede che i bambini nati da pma sono figli “della coppia” che ha deciso di accedere a tale tecnica. Mentre il divieto concerne le condotte degli adulti, le norme sulla tutela del nascituro si pongono nella prospettiva della protezione del minore, non riguardando il divieto le vicende successive al compimento degli atti di pma».

Per quanto riguarda l’adozione in casi particolari, per i firmatari dell’appello non può dirsi un «rimedio sufficiente», perché «l’adozione è subordinata alla volontà dell’adulto, mentre la legge 40 impone la protezione dei nati anche quando non vi sia tale volontà. L’adozione, difatti, presuppone necessariamente una istanza dell’adottante, mentre il dispositivo di cui alla legge 40 è diretto a inchiodare il genitore intenzionale alla sua responsabilità genitoriale in ragione del consenso prestato alla pma».