L’indagine è stata affidata a consulenti senza «specializzazione» e senza alcuna «professionalità» nel settore dell’ingegneria navale e dei trasporti marittimi. È quanto scrive la giudice del Tribunale di Cagliari Maria Cristina Ornano nella sentenza, depositata nelle scorse settimane, che ha assolto con la formula più ampia, «il fatto non sussiste», gli armatori Franco Del Giudice e il figlio Enzo della compagnia di navigazione Delcomar. I due armatori sardi erano accusati di un lungo elenco di reati, fra cui concorso nel conseguimento di erogazioni pubbliche, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, falsi in atti pubblici e attentato alla sicurezza della navigazione.

Il procedimento, in particolare, era nato a seguito di un esposto anonimo in cui si evidenziavano irregolarità nell’appalto regionale con il quale Delcomar si era aggiudicata i collegamenti tra la Sardegna e le isole minori di Carloforte e La Maddalena. Un appalto da oltre 71 milioni di euro rinnovabile sino a 9 anni per un totale di 104 milioni di euro. Il pm cagliaritano Giangiacomo Pilia, vista la complessità della materia, dopo aver delegato le indagini al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza, aveva deciso di affidarsi anche a due consulenti i quali, al termine della loro perizia, scrissero che Delcomar aveva partecipato alla gara con dei traghetti che non rispettavano il bando. Forte di questa consulenza, a maggio scorso, Pilia aveva chiesto condanne fino a 6 anni di prigione per gli imputati.

La giudice Ornano, per nulla convinta delle risultanze investigative, aveva però deciso di riaprire l’istruttoria nominando come perito un contrammiraglio della Marina militare. La relazione di quest’ultimo smentiva completamente quella dei periti di Pilia, sottolineando come tutta la procedura si fosse invece svolta correttamente. I periti di Pilia erano privi dei requisiti e della necessaria professionalità, non avendo competenza specialistica in materia di ingegneria navale: uno era dipendente della Fondazione Teatro Massimo di Palermo, in quiescenza dal 2012, e l’altro un docente presso il Dipartimento di Tecnologie Meccaniche dell’Università di Palermo. Ma c’è di più. La regolarità delle navi risultava già negli atti, mai esaminati dagli inquirenti, provenienti dai competenti enti pubblici: se fossero stati letti il processo non sarebbe nemmeno iniziato. Inoltre, fra le decine di testimoni che erano stati sentiti come persone informate sui fatti, spiccava l’assenza della dirigente regionale Daniela Farina, la quale, in quanto Rup della procedura ristretta, avrebbe potuto fornire importanti elementi di conoscenza utili ad un più completo inquadramento della vicenda. «L’indagine - scrive quindi la giudice Ornano - risente di alcuni insuperabili limiti: il primo è che tale indagine è stata compiuta da tecnici non aventi una professionalità specifica, la quale, trattandosi di un settore altamente specialistico e connotato da una spiccata tecnicalità, era invece necessaria; il secondo è che tale indagine è stata compiuta in assenza di contraddittorio, ciò che era certo conseguenza della scelta operata dagli inquirenti, del tutto legittima, ma che si riflette sul piano dell’affidabilità e persuasività dei risultati; ed il terzo limite è che essa si era svolta ben oltre tre anni dopo la conclusione della gara e la stipula del contratto di servizio, sicché, dopo tre anni di navigazione e di esercizio, nulla dimostra che lo stato generale delle navi fosse identico a quello esistente quando la Delcomar aveva dato avvio al servizio».

A maggio del 2021, per non farsi mancare nulla, l’intera flotta della Delcomar, nel processo assistita dall’avvocato Matteo Pinna, e tutti i beni societari dei titolari, per un valore complessivo di 64 milioni di euro, erano stati sequestrati dalla gip Ermengarda Ferrarese su richiesta del pm Pilia. Per gestire questo maxi sequestro, poi annullato con l’assoluzione, furono pagati compensi agli amministratori per circa un milione e mezzo l’anno.