«Dal fascicolo giudiziario i miei avvocati hanno scoperto che i servizi segreti belgi avrebbero messo sotto osservazione le attività dei membri della commissione speciale Pegasus (Indaga sulle intercettazioni di leader europei fatte illegalmente dal Marocco, ndr.). Il fatto che i membri eletti del Parlamento siano spiati dai servizi segreti dovrebbe sollevare maggiori preoccupazioni sullo stato di salute della nostra democrazia europea. Penso sia questo il vero scandalo». Era giugno scorso quando Eva Kaili lanciava l’allarme di un possibile dossieraggio sui lavori del Parlamento europeo.

Dossieraggio che si è spinto - come scoperto dal Dubbio - fino all’ingresso in borghese, all’interno dell’Europarlamento, della polizia, pronta a prendere appunti sulle mosse dei deputati, pur potendo assistere ai lavori delle Commissioni comodamente da casa, in diretta web. Le carte dell’inchiesta “Qatargate” sembrano fornire uno spaccato inquietante di violazioni del diritto, cestinando il protocollo numero 7 sui privilegi e sulle immunità della Ue.

E sembra temerlo anche la polizia, che il 25 luglio 2022, citando i nomi di alcuni europarlamentari tenuti sotto controllo nell’indagine per corruzione, ha inviato al giudice un rapporto dettagliato sulle norme che regolano l’immunità parlamentare e la via da seguire per revocarla. Tra le regole ce n’è soprattutto una che sembra essere stata disattesa: l’inviolabilità dei locali dell’Unione europea. Dopo essersi introdotti nella sala “Spinelli” per assistere ai lavori della sottocommissione per i diritti umani, la polizia del Belgio avrebbe controllato le mosse della Commissione Pega, incaricata di esaminare l'uso di Pegasus e di spyware di sorveglianza equivalenti, per determinare se tale utilizzo violasse il diritto dell'Ue e i diritti fondamentali.

Una vera e propria ossessione, che ricorre nei rapporti di polizia più volte, con tanto di elenco dettagliato dei membri che ne facevano parte. E sono almeno sei gli allegati relativi a questa commissione allegati al rapporto del 25 luglio poi inviato al giudice istruttore. Tra i soggetti tenuti d’occhio anche Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo, per la quale la polizia non era stata in grado di stabilire una partecipazione alla presunta organizzazione criminale, ma veniva comunque segnalata la sua presenza in tale Commissione.

Il protocollo numero 7, dunque, sarebbe stato violato più e più volte nel corso delle indagini, stando a quanto messo nero su bianco dalle difese degli indagati, al punto da spingere Kaili a denunciare il Parlamento. Secondo la politica greca, infatti, dietro l’indagine si celerebbe un gioco ben più complesso, nel cui ambito i servizi l'avrebbero «monitorata durante la sua attività con la commissione Pegasus». In questo gioco i servizi segreti belgi - aiutati da quelli di altri sei Paesi - avrebbero agito inizialmente senza informare l’autorità giudiziaria, in barba alle norme sull’immunità parlamentare. Norme non aggirabili, soprattutto se di mezzo ci sono deputati che non appartengono allo Stato ospite, per i quali valgono le regole previste dallo Stato di appartenenza.

A denunciare possibili violazioni, nei mesi scorsi, erano stati anche i legali di Andrea Cozzolino, che avevano posto la questione alla Corte d’Appello di Napoli, chiamata a decidere sulla sua estradizione. Secondo i giudici, però, non si evinceva «ragione per ritenere che le indagini siano state svolte dai servizi segreti invece che dall'autorità giudiziaria attraverso la polizia giudiziaria», così come contestato in aula dai legali dell'eurodeputato, gli avvocati Federico Conte e Dezio Ferraro. Che a settembre scorso hanno chiesto alla corte di appello di Bruxelles di verificare la legittimità delle investigazioni poste in essere nel Qatargate.

«Sin dall’inizio abbiamo denunciato la violazione delle guarentigie parlamentari da parte dei servizi segreti stranieri, finanche non europei, che hanno intercettato deputati nell’esercizio delle loro funzioni ed esaminato le opinioni espresse e i voti dati in aula, prima che al Parlamento fosse richiesto di revocare l’immunità ai parlamentari coinvolti - avevano dichiarato in una nota -. Un vero e proprio attacco al cuore della democrazia europea. Un contesto allarmante, reso ancora più inquietante dai dubbi sollevati sulla imparzialità del giudice Claise (che si è dimesso per i suoi rapporti con l’eurodeputata Maria Arena, ndr)». Un dubbio che ora sembra prendere sempre più corpo, in attesa di risposte dall’autorità giudiziaria e dall’Europarlamento sui diritti violati nel corso dell’indagine.