Mentre provavano a mettere insieme gli ingredienti per il “Qatargate”, polizia e servizi segreti del Belgio hanno monitorato la posizione politica della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola e delle vicepresidenti Eva Kaili e Pina Picierno. Un particolare che emerge nel mare magum di documenti finiti nel fascicolo, tra i quali spiccano alcuni verbali di polizia sulla missione organizzata dal Parlamento europeo a Rabat, in Marocco, in occasione della riunione organizzata dall’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo il 10 ottobre 2022.

All’evento avrebbe dovuto partecipare la presidente Metsola, che impossibilitata ha prima provato a inviare in Marocco Picierno - che si occupa proprio dei Paesi del Nord Africa - virando poi su Kaili. Che nel suo discorso incoraggiava l'UpM a rafforzare la collaborazione tra i paesi del Mediterraneo, «un messaggio forte che l'Ue può inviare attraverso questo dibattito, un messaggio che riflette il desiderio di tutti di lavorare insieme per rafforzare il lavoro svolto dall'UpM». Un discorso politico, il suo, pronunciato sulla base di quanto indicato dal segretariato del Parlamento. E di discorso politico si trattava anche in occasione della famigerata risoluzione sul Qatar, ritenuta la pistola fumante dello scandalo, quando l’ex vicepresidente parlò in plenaria esprimendo però la linea politica contenuta in una nota del capo di gabinetto di Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Gli inquirenti, in questo caso, si rifanno a fonti aperte. Ma l’interesse per la strategia politica espressa dai vertici del Parlamento è chiara. Tant’è che sulla scrivania dell’ufficio del giudice istruttore arrivano articoli, foto e video degli incontri che riguardano i rapporti tra Europa e Marocco. Un Paese che, secondo gli inquirenti, avrebbe utilizzato l’ex europarlamentare Pier Antonio Panzeri per orientare la politica dell’emiciclo. Strasburgo, però, nel 2021, a distanza di 30 anni dall’ultima volta, approvò una risoluzione contro il Marocco, proprio mentre l’attività di lobbying di Panzeri era al top. Un duro atto d’accusa, quello approvato due anni fa, con il quale il Parlamento respingeva «l'utilizzo, da parte del Marocco, del controllo delle frontiere e della migrazione, in particolare di minori non accompagnati, come strumento di pressione politica nei confronti di uno Stato membro dell'Ue». Quella scelta fece infuriare il Paese nordafricano, che bollò come «falsità» le affermazioni contenute in quella risoluzione. Kaili aveva proposto una risoluzione contro il Marocco già nel 2017, condannando l’arresto arbitrario dell'attivista marocchino Nasser Zefzafi, imprigionato per le sue proteste contro il governo. Non solo: l’ex vicepresidente aveva anche creato un hub per controllare i cellulari di deputati e assistenti contro la presenza di spyware come Pegasus, ampiamente (e illegalmente) utilizzato proprio dal Marocco e altri Paesi. L’eurodeputato Andrea Cozzolino, anche lui coinvolto nel caso, aveva invece scritto al ministro dell’Interno marocchino per chiedere la scarcerazione del giornalista Omar Radi, per il quale Strasburgo si è attivato solo il 19 gennaio scorso, approvando un testo per esortare le autorità marocchine a porre fine alla sorveglianza dei giornalisti.

Dopo la richiesta di Kaili alla Commissione Juri di fare chiarezza sui possibili abusi compiuti dall’autorità giudiziaria belga, la procura ha tentato di smentire il compimento di qualsiasi atto di indagine su parlamentari prima della formale richiesta di revoca dell’immunità, dichiarando, innanzitutto, il passaggio del fascicolo dai servizi segreti alla procura federale. I documenti testimoniano che i servizi hanno compiuto atti fino al giorno degli arresti. Ma al di là di questo, è la stessa smentita della procura - che si richiama sempre alla normativa belga, invece che a quella europea di riferimento - a dimostrare che i parlamentari sono finiti nel mirino prima della revoca dell’immunità. «L'atto di accusa per l'indagine costituisce un atto di azione penale», spiegava in un documento, depositato a settembre, il procuratore federale Raphael Malagnini, che poco dopo ha lasciato il caso del secolo per assumere l'incarico di revisore dei conti del lavoro a Liegi. E «l'atto d'accusa per l'inchiesta del 15 luglio 2022», scriveva Malagnini, non era indirizzato a Kaili, prendendo «espressamente di mira Panzeri Pier Antonio e Giorgi Francesco (suo ex assistente e compagno di Kaili, ndr), entrambi imputati in questo caso ma che non hanno beneficiato di alcuna immunità».

Eppure proprio quell’atto indica tra le persone sotto osservazione eurodeputati in carica, come Maria Arena, Andrea Cozzolino, Brando Benifei e Alessandra Moretti, tutti ancora coperti da immunità, di fatto confermando i sospetti di Kaili. Il cui nome compare in altri atti precedenti all’arresto in flagranza, da ultimo la richiesta di perquisizione negli uffici degli assistenti parlamentari, nella quale viene indicata erroneamente come assistente nonostante si tratti della numero due del Parlamento europeo.