«Dopo aver condotto un’analisi approfondita del caso, la Commissione Juri ha stabilito che la richiesta di difesa dell’immunità parlamentare presentata da Eva Kaili è inammissibile. Di conseguenza, ha deciso di chiudere il procedimento seguendo le norme applicabili. Rimaniamo impegnati a garantire i diritti dei deputati europei e a rafforzare lo stato di diritto attraverso la piena collaborazione giuridica con i Paesi membri». L’annuncio del presidente della Commissione Adrián Vázquez Lázara arriva via X. Senza spiegazioni, senza approfondimenti, ma con una condivisione di peso: quella di Frédéric Van Leeuw - procuratore federale del Belgio, a capo dell’inchiesta sul Qatargate, lo scandalo sulla presunta corruzione che ha travolto il Parlamento europeo -, che ha ritwittato il post di Lázara, dopo aver imposto, nelle scorse settimane, il silenzio agli indagati, con un atto definito dalla Corte d’Appello - che ha accolto il ricorso dell’eurodeputato Marc Tarabella - illegittimo.

Interpellata dal Dubbio, la segreteria della Commissione ha giustificato le scarne informazioni a disposizione sulla decisione appellandosi alla segretezza: «Le deliberazioni sui casi di immunità sono confidenziali, si svolgono a porte chiuse e pertanto non possono essere divulgate - ha fatto sapere l’ufficio stampa -. Tuttavia, come ha annunciato ieri (lunedì, ndr) il presidente, il caso è inammissibile, ossia privo di basi valide per richiedere la difesa dell’immunità», in quanto c’è stata «flagranza di reato». Che è proprio il punto oscuro della vicenda, che Kaili voleva chiarire. Insomma, gli atti sono segreti, talmente segreti che non solo l’opinione pubblica, ma nemmeno la diretta interessata è stata informata.

E così i legali di Kaili hanno scritto alla Commissione Juri per chiedere di essere messi a conoscenza delle ragioni che hanno portato i membri a respingere la domanda dell’ex vicepresidente. La richiesta era semplice: valutare la violazione della sua immunità parlamentare, un sospetto alimentato, tra le altre cose, dal fatto di essere stata spiata, controllata e monitorata dai servizi segreti anche se su di lei, come emerge dal fascicolo, non c’erano indizi che consentissero di ipotizzare un ruolo nella presunta associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Sospetto oggi ingigantito dai continui colpi di scena, ultimo l’audio in cui l’ispettore capo dichiara inattendibile il pentito Pier Antonio Panzeri, l’uomo che ha inguaiato tutti.

La Commissione Juri - che pure, stando a quanto riferito in via riservata da alcuni dei membri, aveva deciso di fare degli approfondimenti - ha preferito non affrontare la richiesta di Kaili, appigliandosi al principio di cooperazione giuridica. Chiudendo gli occhi perfino sulla presenza in Parlamento, in borghese, di uomini dei servizi segreti, circostanza che Giuliano Pisapia, vicepresidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, aveva definito una brutale aggressione alla democrazia.
I legali di Kaili hanno rivolto ai membri della Commissione anche un’altra domanda, ovvero se fossero consapevoli che a settembre scorso il Parlamento europeo ha deciso di assumere uno studio legale esterno per agire contro l’eurodeputata greca nell’ambito del Qatargate, dando il “via libera”, prima di qualsiasi valutazione giuridica, all’azione penale.

Mentre si rimane in attesa di una valutazione della legalità delle indagini, è stata Kaili, nella richiesta presentata il 27 giugno scorso, a mettere in fila i fatti. Denunciando, in primo luogo, di essere stata «monitorata dai servizi segreti durante il periodo in cui ha partecipato alla commissione Pegasus, che stava indagando istituzionalmente sull’esistenza di software illegali che monitoravano le attività di eurodeputati e dei cittadini dell’Unione europea». Ovvero, prima ancora che venisse avanzata qualsiasi richiesta di autorizzazione all’Europarlamento e, dunque, in piena violazione dei Trattati. Che tale “intrusione” ci sia stata emerge in maniera palese dai verbali depositati nei fascicoli d’indagine, dai quali si evince la presenza degli investigatori in Parlamento senza che nessuno ne fosse informato. Ma secondo i legali dell’Europarlamento, non ci sarebbe stato alcun atto istruttorio nei confronti di Kaili «prima della constatazione del flagrante delitto il 9 dicembre 2022».

Il fatto curioso è però un altro: nel mentre gli avvocati affermano ciò, ammettono anche di non sapere di quali fatti si parli. «Nel presente fascicolo - si legge nel documento di 12 pagine depositato in Tribunale -, chi conclude non vede quali siano i fatti “connessi”, come indicati dal pubblico ministero e sui quali sarebbe stata condotta un’istruttoria». La flagranza consisterebbe nel ritrovamento di ingenti somme di denaro in una valigia che Kaili aveva chiesto al padre di portare via dall’appartamento che condivideva con il marito Francesco Giorgi, arrestato la stessa mattina. Circostanza che Kaili aveva tentato sin da subito a spiegare agli inquirenti: «Il giorno dell’arresto di Francesco (Giorgi, ndr) lessi sui media di Panzeri - aveva spiegato al Dubbio l’eurodeputata -. Sapevo che Francesco aveva in casa una somma di denaro proveniente dal suo stipendio. Ma ho scoperto una borsa sconosciuta e ho capito che era di Panzeri. Ho perfino chiamato la polizia per avere informazioni su Francesco, ma è stato inutile, quindi, sotto shock, ho pensato che la cosa giusta da fare fosse restituirgliela e chiedergli di ritirarla in un ristorante dell’hotel, dato che non riuscivo a trovare il suo indirizzo. Se lo avessi saputo non avrei mai permesso che accadesse ciò in casa mia. Dieci mesi dopo, per fortuna, abbiamo scoperto le intercettazioni telefoniche che dimostrano che Panzeri utilizzava i suoi assistenti per ricevere i pagamenti per suo conto fino a quando non fosse stato nelle condizioni di riceverli. Sulle banconote non c’erano le mie impronte digitali. I miei conti bancari sono cristallini, contrariamente alle false notizie di milioni nelle banche panamensi».

Per gli avvocati di Kaili, in ogni caso, dagli atti di indagine si evincerebbe chiaramente come la deputata greca sia stata «indagata per la sua attività di parlamentare e non per aver commesso alcun reato» e ciò «almeno dal 15 luglio 2022», come dimostrano i documenti di cui il Dubbio ha dato conto nei mesi scorsi. Ci sarebbe stata, dunque, una violazione delle prerogative parlamentari, anche perché, sottolineavano i difensori nella richiesta, l’indagine si è estesa all’attività di «un’intera commissione parlamentare» e «in nessun momento si sono verificate le circostanze di una presunta flagranza di reato, che sarebbe l’unica eccezione che consentirebbe di revocare la sua immunità» senza che sia necessario attendere il via libera del Parlamento.

Nella lettera inviata a dicembre 2023 da Kaili a Vazquez Lazara, l’eurodeputata aveva manifestato l’intenzione di ricorrere alla Corte di Giustizia Ue nel caso in cui la sua domanda fosse stata respinta o non presa in considerazione. Sarà questa, dunque, con molta probabilità, la prossima mossa della politica greca. Ormai sempre più convinta di essere stata usata per creare «un caso politico».