Per oltre un anno, le difese degli indagati del “Qatargate” sono rimaste all’oscuro di una quantità enorme di documenti. Verbali, intercettazioni e perquisizioni che riempivano quattro scatole e che contenevano elementi favorevoli agli indagati, tenuti fuori in maniera strategica, stando a quanto ammesso dal principale investigatore dell’inchiesta. Una “confessione” fatta a casa di Francesco Giorgi, ex braccio destro del “pentito” Pier Antonio Panzeri e marito di Eva Kaili, la “star” dell’operazione, quando ha ammesso che la procura non crede alle parole di Panzeri.

Ed è per questo, aveva spiegato ignorando di essere registrato, che parte degli atti è rimasta fuori, per non dare “vantaggi” agli indagati. Una scelta furba, ma che viola totalmente il diritto di difesa. Mentre un po’ meno furbo, di certo, è stato ammetterlo apertamente. La bomba fatta esplodere dalla difesa di Giorgi - rappresentata dall’avvocato Pierre Monville - ha però obbligato la procura a depositare tutto. Rendendo evidenti i doppi standard della giustizia belga, che ha usato la clava con alcuni degli indagati, e la piuma con altri soggetti finiti nel mirino degli inquirenti.

I nuovi documenti inseriti nel fascicolo fanno tornare prepotentemente in primo piano i nomi di Maria Arena e Ugo Lemaire. La prima eurodeputata belga, il secondo suo figlio e figliastro della ministra degli Esteri del Belgio, Hadja Lahbib. Il nome di Arena, inizialmente tirato in ballo da Panzeri, era stato poi escluso, nonostante più volte spuntasse nelle carte redatte dagli stessi investigatori. E oggi i difensori degli indagati hanno potuto conoscere nuovi dettagli, come il fatto che a casa di Lemaire, il 20 luglio scorso, sono stati trovati 280 mila euro in contanti, molti dei quali sul tavolo di ingresso, legati con un elastico, e un tracker Gps con magnete. In casa, inoltre, c’erano anche sacchetti di plastica con dentro cannabis e una carta d'identità falsa, con la foto di Lemaire ma le generalità di un’altra persona. Con quel documento, Lemaire ha affittato un box, dove sono custodite quattro auto, intestate a diverse persone, tra le quali una nota alle forze dell’ordine per traffico di sostanze stupefacenti. Gli investigatori hanno anche analizzato il cellulare del giovane, trovando messaggi che confermerebbero l’ipotesi di traffico di sostanze «dalla Spagna verso il Belgio», si legge nel verbale di polizia.

Lemaire, però, è stato convocato per essere interrogato il 19 dicembre, ovvero cinque mesi dopo la perquisizione. Un lasso di tempo enorme, considerando la necessità di evitare un occultamento delle prove. E ad assisterlo c’era l’avvocato di Silvia Panzeri, figlia di Pier Antonio, che ha sin dalle prime battute accesso al fascicolo del Qatargate, essendo stata arrestata e utilizzata dalla procura come merce di scambio per la confessione dell’ex eurodeputato. Lemaire, in quella sede, si è avvalso della facoltà di non rispondere, lamentando le fughe di notizie su di lui e sulla sua famiglia: «Mi sono dovuto confrontare con le ripercussioni dannose di queste rivelazioni sulla mia vita professionale e privata - ha affermato davanti agli investigatori -. A questo proposito, ho intrapreso due azioni legali per violazione del segreto investigativo. Come sapete, il rispetto della segretezza delle indagini è di capitale importanza nel contesto dei procedimenti giudiziari. Queste fughe di notizie compromettono l’equità del processo giudiziario e violano i miei diritti fondamentali così come quelli dei miei cari. A causa di questa situazione e della mancanza di fiducia che si è creata, non desidero rispondere alle vostre domande».

Un discorso comprensibilissimo quello di Lemaire, che dà conto della voracità della stampa attorno a questo caso, diventato ormai una vera e propria soap opera. Lemaire, subito dopo l’interrogatorio, è tornato a casa. Così come sua madre, Maria Arena, interrogata 14 mesi dopo gli arresti del Qatargate, quando ormai tutto il fascicolo era finito sui giornali. Una scelta all'insegna del garantismo, ma diversa da quelle precedenti della procura, che invece ha provveduto ad arrestare gli indagati del Qatargate anche in assenza di prove. Come nel caso di Marc Tarabella, inguaiato dalle parole di Panzeri, ma sul cui conto non è stato possibile trovare nulla, nemmeno un euro in più del giusto. E a spiegare com’è avvenuto il suo arresto era stato lo stesso investigatore registrato da Giorgi: «Tra il primo e il secondo interrogatorio - aveva spiegato - (Panzeri, ndr) si dimentica di parlare di Tarabella. Nel frattempo ha accesso al fascicolo, vede che abbiamo interrogato Tarabella. Seconda videoconferenza cosa fa? “Guardate, vorrei aggiungere ancora qualcosa su Tarabella”. E lì comincia a parlare di Tarabella, ma non dice tutto, e noi lo sappiamo, ma non gli facciamo nessuna domanda».

Non si tratta del primo caso di aggiunta postuma di verbali. Quello contenente le intercettazioni di Arena, di cui il Dubbio ha scritto nei mesi scorsi, era stato infatti messo sotto embargo dal giudice istruttore Michel Claise e poi aggiunto al fascicolo dalla giudice Aurélie Dejaiffe con un anno di ritardo, nel luglio 2023. Ovvero proprio a ridosso della perquisizione a casa sua e del figlio. A quel punto Claise era già stato costretto a lasciare l’indagine: gli avvocati di Tarabella avevano infatti scoperto e denunciato pubblicamente il legame tra il figlio del giudice e Ugo Lemaire, che insieme hanno una società che commercializza cannabis legale. Le conversazioni intercettate erano però molto suggestive: «Se ci sei tu allora io raccolgo più soldi», diceva Antonio Panzeri ad Arena durante una telefonata. L'europarlamentare socialista belga è rimasta al suo posto in Parlamento e nel gruppo dei socialisti. Una sorte un po’ diversa rispetto a quella patita da altri, come Kaili, “licenziata” immediatamente dal ruolo di vicepresidente dopo l’arresto.

La domanda sorge spontanea: perché gli investigatori, il giorno degli arresti, si sono appostati davanti casa di Kaili - per la quale non risultava alcun legame con la presunta organizzazione criminale, come appuntato dagli investigatori -, ma non davanti a quella di Arena, che secondo i servizi segreti del Belgio sarebbe stata coinvolta nei calcoli del compenso del Qatar per il lavoro svolto da Panzeri a loro favore? Sono stati gli 007, infatti, a scrivere che Arena sembra «svolgere compiti/progetti direttamente per conto del ministro del Lavoro del Qatar Alì Bin Samikh Al Marri, che è preoccupato per lo stato di avanzamento del incarichi/progetti affidati ad Arena Maria con Panzeri».

La procura, nei mesi scorsi, ha dichiarato di non ritenere necessario chiedere una revoca dell’immunità. Che, come ricordato da molti eurodeputati, è una prerogativa a tutela dell’istituzione e non del singolo parlamentare. Una scelta del tutto condivisibile. Un po’ meno quelle che hanno riguardato gli altri protagonisti della vicenda. Così, mentre con Kaili, Giorgi, Panzeri, Tarabella e altri la procura ha scelto di usare il pugno di ferro, con Arena e Lemaire c’è stata una svolta garantista. Il tutto, però, mentre gli inquirenti imponevano restrizioni agli indagati del Qatargate, impedendo loro anche di parlare con la stampa, pena l’arresto. Un’imposizione che, nei giorni scorsi, Tarabella ha fatto annullare: quell’obbligo, avevano sentenziato la “Chambre des mises en accusation” accogliendo il suo ricorso, «non è conforme ai requisiti legali».