«Quanto più esteso, grave e allarmante è il fenomeno criminale, tanto più rigorosa deve essere l’applicazione delle garanzie». Quando gli viene chiesto di esprimere un parere sullo scandalo Qatargate e quelle che sembrano sempre più violazioni delle garanzie ai danni degli indagati, l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti - oggi deputato del Pd all’europarlamento - cita Giovanni Falcone. Un insegnamento, quello del magistrato antimafia trucidato da Cosa Nostra, imprescindibile. Sia per evitare di trasformare potenziali criminali in martiri, sia perché la presunzione di innocenza, che in questa indagine fatta a pezzi sotto ogni punto di vista, non è (o non dovrebbe essere) un principio negoziabile.

Roberti è uno dei componenti della Commissione Juri, alla quale l’ex vicepresidente Eva Kaili - arrestata a dicembre 2022 e rimasta cinque mesi in custodia cautelare con “l’invito” (mai accolto) a confessare il proprio coinvolgimento per non vedersi portare via la bambina - si è rivolta ormai più di sei mesi fa per verificare una possibile violazione della propria immunità parlamentare. Kaili aveva inviato ai colleghi diversi documenti, finalizzati a dimostrare che gli europarlamentari «sono stati oggetto di indagini molto prima che l'eurodeputata Kaili fosse illegalmente detenuta dalla polizia belga». E oggi si aggiungono nuovi elementi, come l’audio registrato di nascosto da Francesco Giorgi, marito di Kaili ed ex assistente parlamentare di Pier Antonio Panzeri, in cui l’ispettore a capo delle indagini ha ammesso che Panzeri, il principale “collaboratore di giustizia” di questa inchiesta, di fatto mente.

L’audio ha creato non poche fibrillazioni tra gli inquirenti, che nelle scorse settimane si erano spinti a imporre un bavaglio agli indagati. Come testimoniato da una lettera inviata dagli avvocati di Kaili al Parlamento, infatti, l’ex vicepresidente «viene minacciata di essere nuovamente incarcerata se fa qualsiasi commento, diretto o indiretto, sul suo caso ai media». Sia l’audio sia il diktat della procura «sono gravi perché il primo lede il diritto alla presunzione di innocenza e a un giusto processo e il secondo lede la sua inviolabilità come parlamentare e il suo diritto alla libertà di espressione. Riteniamo che ogni giorno che passa senza progressi nella tutela dei diritti della signora Kaili metta a rischio anche l’integrità di questo Parlamento», ha evidenziato Gonzalo Boye Tuset, difensore della politica greca insieme a Christophe Marchand e Sven Mary.

Il silenzio del Parlamento, però, inizia a diventare imbarazzante. E ancor di più lo è l’immobilismo della Commissione Juri, anticipata in Italia dalle mosse di Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia e deputato dem, che ha sottoscritto un’interrogazione indirizzata al Guardasigilli Carlo Nordio e al ministro degli Esteri Antonio Tajani per verificare eventuali violazioni dei diritti degli indagati italiani coinvolti nel caso. Mentre sembra essere caduto nel vuoto l’appello di Giuliano Pisapia, vicepresidente Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, che dalle colonne del Dubbio ha denunciato «un indebito e grave comportamento delle forze dell’ordine belghe che hanno agito in spregio alle facoltà riconosciute ai parlamentari europei», invitando i colleghi a reagire.

Tra i banchi della Commissione Juri più d’uno auspica che l’affaire Kaili venga affrontato il prima possibile. Ma nessuno si espone, forse per paura di finire invischiato in una vicenda pericolosissima. «Non dipende da me - spiega Roberti al Dubbio -, ma la richiesta non è stata ancora calendarizzata». Si può escludere che ci sia un certo imbarazzo, visto il coinvolgimento più o meno diretto di altri parlamentari? «Non lo posso escludere - aggiunge -, di certo non da parte mia: sono sempre disponibile ad affrontare le situazioni nel modo più diretto possibile. Anche perché è una vicenda grave, che dimostra la fragilità delle istituzioni europee, oltre che l’incapacità professionale della magistratura belga. Perché su questo punto non si discute proprio. Non si doveva arrivare alle dichiarazioni registrate da Giorgi per capire che è un’indagine fatta male. Proprio perché il giro di denaro esisteva, tanto più efficiente e garantista doveva essere l’indagine. Invece le garanzie sono state completamente stravolte. Su questo punto la magistratura belga, purtroppo, ha fallito miseramente».

Roberti ha avuto sin da subito dubbi, ad esempio, sulla posizione dell’italiano Andrea Cozzolino, del quale il Belgio aveva chiesto la consegna all’Italia, «nei cui confronti le accuse erano molto fragili. Abbiamo fatto il confronto con le nostre prove ai fini della custodia cautelare e ci siamo fatti una risata», aggiunge Roberti. Subito dopo gli arresti, l’Europarlamento aveva scaricato Kaili, votando quasi all’unanimità (625 a favore, un contrario e due astenuti) la decisione di revocarle l’incarico di vicepresidente. Voce fuori dal coro quella di Dorien Rookmaker, eurodeputata olandese del gruppo Ecr, che aveva deciso di astenersi criticando aspramente lo scarso garantismo dei colleghi, garantismo, aveva sottolineato, non negoziabile. Un atteggiamento prudente, quello del resto dell’emiciclo, che ha preferito dimenticare i principi predicati dall’Unione, tra i quali proprio la presunzione d’innocenza.

«La politica europea si è immediatamente ritratta, nessuno ha voluto sbilanciarsi - commenta oggi Roberti -. Noi italiani, noi del Pd, o almeno io e Pisapia e chi si occupa maggiormente di processo penale, abbiamo detto subito che l’indagine era fatta male. I fatti c’erano, i soldi sono stati trovati, ma proprio per questo bisognava procedere in modo incisivo e rigoroso. Queste esigenze, invece, non sono state rispettate. Addirittura si è scoperto che il giudice aveva un conflitto di interessi rispetto al processo. Roba che in Italia non sarebbe mai potuta avvenire. Noi abbiamo una cultura della prova e della giurisdizione che altri Paesi, evidentemente, non hanno. Sicuramente qualcosa non quadra. Quando sarà portata al nostro esame l’istanza di Kaili approfondiremo. Ma non c’è dubbio che, come giudizio generale e senza riferimenti al caso specifico di Kaili, l’indagine è fatta in evidente violazione di alcune garanzie, cosa che in Italia sarebbe intollerabile».

Compresa la violazione del segreto tra avvocato e assistito, di cui è stato vittima Giorgi, intercettato in casa mentre studiava la strategia difensiva con il suo legale, o il divieto di parlare imposto agli indagati, pena l’arresto. «Non so se in Belgio ciò sia legale - conclude Roberti -, in Italia non ho mai visto nulla del genere. Anche i detenuti possono esprimere liberamente il proprio pensiero. Parliamo dell’articolo 21 della Costituzione: è l’abc». Per non parlare del coinvolgimento dei servizi segreti, arrivati ad infiltrarsi in Parlamento per ascoltare le sedute di commissione: «In Italia ciò non sarebbe mai potuto accadere».