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Agli inevitabili timori, inquietudini e disagi suscitati dalla per ora inarrestabile diffusione della pandemia da coronavirus si sono aggiunte nelle ultime settimane crescenti incertezze e confusione a causa del sovrapporsi di provvedimenti emessi sia dallo Stato che da alcune regioni per stringere o allargare le maglie del contrasto all’epidemia.
La confusione è originata soprattutto dagli interventi regionali, sovente in contrasto con i decreti del presidente del consiglio e tra regione e regione. Che le regioni abbiano competenza in materia di tutela della salute è previsto dalla stessa Costituzione, che inserisce la salute tra le materie oggetto della legislazione concorrente tra Stato e regioni, fermo restando che la determinazione dei principi fondamentali spetta allo Stato. Attenti al protagonismo delle Regioni: può ledere il principio di eguaglianza
Un decreto- legge del 25 marzo del presidente del Consiglio dei ministri ha cercato di disciplinare questa competenza concorrente tra Stato e regioni nel delicatissimo contesto dell’emergenza da coronavirus. Il decreto- legge stabilisce che, ove le limitazioni o sospensioni di numerosissime attività ed anche del diritto alla libera circolazione riguardino esclusivamente una o alcune specifiche regioni, debbono essere sentiti i presidenti delle regioni interessate; a loro volta le regioni possono proporre al governo di adottare mediante decreto misure relative a una o più regioni.
Sembra cioè che di fronte a questa straordinaria emergenza l’autonomia regionale debba necessariamente coordinarsi con il potere centrale. Il principio costituzionale dell’autonomia regionale trova cioè un limite nei confronti del superiore interesse, anch’esso di rango costituzionale, della tutela della salute e dell’incolumità della comunità nazionale.
Ne deriva appunto l’esigenza che le misure adottate in tema di Coronavirus siano sottoposte a forme di reciproco collegamento- coordinamento tra il governo centrale e le regioni interessate: da un lato deve essere lo stesso Governo a adottare mediante decreti le misure di contrasto alla pandemia anche quando riguardano una sola o alcune specifiche regioni; dall’altro le misure proposte da una o da alcune regioni sono anch’esse adottate mediante decreti del Governo.
L’unica eccezione, prevista dallo stesso decreto- legge Conte, a queste necessarie forme di collegamento- coordinamento riguarda il caso in cui la regione, a seguito di specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario, può introdurre ulteriori misure restrittive, ma non può rendere meno rigorose le limitazioni esistenti, come invece sembra stia facendo la Regione Veneto. Alla sovrabbondanza di interventi regionali si debbono aggiungere le ordinanze dei sindaci previste dalla legge sulla protezione civile, ad esempio in tema di apertura o chiusura dei mercati rionali. Anche dei sindaci si parla nel decreto- legge Conte, stabilendo il divieto di emettere ordinanze dirette a fronteggiare l’emergenza coronavirus in contrasto con le misure statali ovvero in materie diverse da quelle oggetto del decreto- legge.
Vi è da augurarsi che, dopo questo iniziale periodo di euforia interventistica, e talvolta di eccessivo protagonismo a livello regionale e locale, venga rispettata la strategia del coordinamento centralizzato dei vari interventi, assolutamente necessaria per un più efficace, razionale e adeguato contrasto alla gravissima pandemia in corso.
Tanto per fare un esempio, non si riesce proprio a capire perché l’apertura di librerie, cartolerie, negozi di abbigliamento per neonati e bambini e le attività motorie siano in genere consentite mentre alcune di queste attività siano in parte o del tutto vietate in Lombardia, Campania e Piemonte.
Tra l’altro sembra che si stia dimenticando che esiste tuttora il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini solennemente sancito dall’articolo 3 della Costituzione, quale che sia la loro regione di appartenenza.