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REPLICHE A CASSESE
Due analisti politici tra i più lungimiranti, Fabrizio Cicchitto e Giovanni Guzzetta, rispondono all’impietosa diagnosi di Sabino Cassese, che lunedì scorso, in un editoriale sul Corriere della Sera, ha parlato di «agonia dei partiti» e di una conseguente «recessione democratica». L’ex vicecoordinatore di FI e il costituzionalista propongono ricostruzioni diverse ma una via d’uscita almeno in parte coincidente.
FABRIZIO CICCHITTO E GIOVANNI GUZZETTA FABRIZIO CICCHITTO
PRESIDENTE DI “RIFORMISMO E LIBERTÀ”, EX VICESEGRETARIO FI
Partiamo da un dato di fondo, riguardante quella che a nostro avviso è l’essenza di una democrazia fondata su elezioni nazionali, regionali, locali, su un governo espressione del Parlamento e su un presidente della Repubblica. Questa democrazia si fonda sulla pluralità, sul confronto, sullo scontro delle opinioni e degli interessi ( a loro volta organizzati in sindacati, in una molteplicità di associazioni di categorie imprenditoriali e nella Confindustria).
Ciò come premessa abbastanza teorica e astratta. Ciò detto passiamo appunto dall’astratto al concreto. I partiti, pur fra mille difetti, hanno avuto fino all’inizio degli anni Novanta un’intensa vita democratica al loro interno. C’è ferrea mano delle élites. Lo è nella fase pre- lettorale con i meccanismi di composizione delle liste in cui regna la logica della cooptazione. Lo è nella fase post- elettorale, nella quale le stesse dirigenze dei partiti rivendicano mani libere nella scelta delle alleanze post- elettorali ( anche più d’una e diversa durante la legislatura), indipendentemente dalle roboanti enunciazioni fatte in campagna elettorale.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Ed è sintomatico che, anche in questa campagna elettorale, la principale occupazione di chi teme un risultato negativo sia quella di lavorare per destrutturare l’alleanza degli avversari e la principale preoccupazione di chi si augura di vincere le elezioni sia quella di come riuscire a durare più di qualche mese.
Di fronte alla radicalità di questa crisi, messa in ombra solo dalla trance agonistica di una campagna elettorale urlata e rancorosa, non ci sono soluzioni semplici. Anzi, vi un evidente interesse di molte forze politiche a conservare lo status quo. Che assicura un ruolo nel tumulto delle crisi continue, garantendo, comunque, a ditte e scialuppe una possibilità di sopravvivenza e un giro di giostra. Se veramente si volessero affrontare i problemi, non nell’interesse dei professionisti della sopravvivenza, ma nell’interesse di un paese che meriterebbe un sistema politico all’altezza del suo ruolo di media potenza mondiale, si dovrebbe fare ben altro. Riaprendo il cantiere delle riforme, con soluzioni coraggiose e non gattopardesche. Il fatto che la campagna elettorale abbia tra i propri temi principali quello dell’allarme per la democrazia e sia infarcita di parole d’ordine come la difesa dell’assetto istituzionale così com’è, ammantato della retorica sulla “costituzione più bella del mondo” ( che peraltro non ne è ha impedito, in questi decenni, un costante tradimento occulto), non lascia ben sperare.
Se di riforme si parlerà mai è certo che ciò accadrà all’insegna dello scontro ideologico, dell’utilizzo elettoralistico degli argomenti e del tentativo di delegittimazione degli avversari. Com’è sempre accaduto purtroppo.
Alcuni invocano, condivisibilmente, un’assemblea costituente. Il problema di una prospettiva costituente, però, è trovarne lo spirito. E di quello non se ne vede traccia.