“La compressione dell’autodeterminazione procreativa della donna singola non può, nell’attuale complessivo quadro normativo, ritenersi manifestamente irragionevole e sproporzionata”. Potrebbe essere questa la didascalia della sentenza 69 della Corte costituzionale depositata oggi. Cosa vuol dire? Stiamo parlando delle tecniche riproduttive e dell’articolo 5 della legge 40 del 2004 che stabilisce i requisiti di accesso e che permette solo alle donne accompagnate (da un uomo) di ricorrere alle tecniche: “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”. Quindi niente se sei da sola. È giusto? È sbagliato?

La Corte giustifica il divieto con la difesa dell’interesse dei nati: “la scelta del legislatore di non avallare un progetto genitoriale che conduce al concepimento di un figlio in un contesto che, almeno a priori, implica l’esclusione della figura del padre è tuttora riconducibile al principio di precauzione nell’interesse dei futuri nati”. Mi chiedo sempre se non rischiamo allora di discriminare i nati da un rapporto sessuale. Cioè, se è vero che a volte la scomparsa del padre è a posteriori, possiamo forse escludere la decisione di avere un rapporto sessuale a fini riproduttivi e che a priori escluda il padre? (Poi dovremmo forse anche chiederci se la presenza di un padre è una condizione necessaria di qualcosa e se, nella mente del legislatore, non esistere sia preferibile a esistere senza un padre).

Certo, sarebbe difficile controllare e prevedere le intenzioni, ma se ho bisogno delle tecniche riproduttive invece di un rapporto sessuale è giusto che io abbia meno diritti? Chissà. La Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale di questa restrizione. L’articolo 5 per ora rimane così com’è. Tuttavia la Corte dice una cosa importante quando sottolinea “l’assenza di impedimenti costituzionali acché il legislatore estenda l’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche a nuclei familiari diversi da quelli indicati nell’art. 5 della legge n. 40 del 2004”. Insomma il legislatore potrebbe cambiare quei requisiti e permettere di accedere anche alle persone sole o in una coppia delle stesso sesso.

Molto bene. Solo che poi penso ai tanti inviti fatti dalla Corte al legislatore sul suicidio assistito e agli anni di ignavo silenzio e chissà. Penso anche che l’unico intervento del legislatore sulla legge 40 in questi vent’anni è stato per cambiare il comma 6 dell’articolo 12 riguardo alla “surrogazione di maternità”. Se prima era vietata in Italia, oggi è vietata anche ai cittadini italiani che vanno in un paese dov’è legale. O meglio, i cittadini italiani che seguono la legge di un altro paese in quel paese saranno comunque puniti dalla legge italiana. Non ha senso? Lo so. Nell’attesa le persone si arrangiano come possono oppure rinunciano. A fare figli o a morire.

Come siamo arrivati a questa sentenza? Tutto comincia dal tentativo di Evita di accedere alle tecniche in Italia. Scrive a un centro di Firenze ma il centro rifiuta (per l’articolo 5, appunto). Assistita da un gruppo legale coordinato da Filomena Gallo, che è anche la segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, presenta un ricorso d’urgenza. Il tribunale di Firenze solleva la questione di legittimità costituzionale e lo scorso 11 marzo c’è stata l’udienza in Corte. Che farà il legislatore?