«Basta criminalizzare le organizzazioni non governative che effettuano salvataggi in mare!», così Mary Lawlor, relatrice speciale dell'ONU per la situazione dei difensori dei diritti umani, ha lanciato l’allarme riferendosi al governo italiano. Ha condannato la criminalizzazione e la repressione dei difensori dei diritti umani coinvolti in organizzazioni di salvataggio in mare in Italia, in vista del processo dei membri dell'equipaggio dell'ONG in Sicilia. Parliamo del processo, ancora in fase preliminare, nei confronti di alcuni membri dell’equipaggio della nave Iuventa, impegnata nel soccorso in mare, per presunta collaborazione con i trafficanti di esseri umani e per aver favorito l’immigrazione irregolare.

«I procedimenti in corso contro i difensori dei diritti umani delle ONG di ricerca e salvataggio rappresentano una macchia oscura sull'impegno dell'Italia e dell'UE per i diritti umani», ha dichiarato Mary Lawlor. Nel maggio 2022 sono stati avviati procedimenti penali preliminari contro 21 persone presso il tribunale di Trapani, tra cui quattro membri dell'equipaggio di ricerca e salvataggio della Iuventa e difensori dei diritti umani di altre imbarcazioni civili, per presunta collaborazione con trafficanti di esseri umani. Sono accusati di aiutare e favorire l'immigrazione clandestina in relazione a diverse missioni di salvataggio condotte nel 2016 e nel 2017. Prima del sequestro nel 2017, la nave Iuventa aveva partecipato al salvataggio di 14.000 persone in difficoltà in mare. ' Sono criminalizzati per il loro lavoro sui diritti umani. Salvare vite non è un crimine e la solidarietà non è contrabbando', ha sottolineato sempre la rappresentante dell’Onu.

Mary Lawlor ricorda che il 19 gennaio 2023 la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Interno hanno chiesto al Tribunale di costituirsi parte civile e questa decisione – osserva sempre la relatrice dell’Onu– «contrasta con il principio in base al quale gli Stati che tutelano i diritti umani, promuovono il lavoro dei difensori dei diritti umani». Ma c’è anche un riferimento al decreto legge emanato dal governo italiano il 2 gennaio 2023 che ha stabilito che i comandanti di navi delle Ong non possono effettuare più di un salvataggio durante una missione e devono obbligatoriamente sbarcare nel porto indicato dalle autorità competenti, indipendentemente dalla distanza rispetto all'imbarcazione che ha a bordo persone salvate in mare. Mary Lawlor esprime preoccupazione per il fatto che questo decreto legge può ostacolare le attività di salvataggio e mettere a rischio vite e diritti delle persone coinvolte.

Inoltre, afferma che la legislazione italiana è incompatibile con gli obblighi internazionali in materia di salvataggio in mare. Questo significa che, sempre secondo la relatrice dell’Onu, il decreto legge viola le norme del diritto internazionale e potrebbe avere conseguenze negative sulla sicurezza e sui diritti umani delle persone coinvolte. E a proposito dei salvataggi in mare, per capire meglio le criticità denunciate dalla relatrice dell’Onu, è utile rendere noto anche le osservazioni del Garante nazionale delle persone private della libertà pervenute a fine dicembre al ministero dell’interno. Si sottolinea come le Convenzioni internazionali, che sono vincolanti per l'Italia, limitino la potestà legislativa dello Stato e come il diritto internazionale e le Convenzioni internazionali ratificate dall'Italia non possano essere derogati dalla legislazione interna. Dopodiché il Garante affronta specifici punti, in particolare il soccorso in mare e le norme di diritto internazionale che lo regolamentano. Viene citata la Corte Europea dei diritti dell'uomo che ha stabilito che il mancato accesso alla procedura d'asilo o a qualsiasi altro rimedio legale all'interno del porto di attracco costituisce una violazione dell'articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione. Le sentenze di riferimento sono il caso Sharifi c. Italia e Grecia del 21 ottobre 20142 ( ricorso n. 16643/ 09) e nel caso ( Grande Camera) Hirsi Jamaa c. Italia del 23 febbraio 20123 ( ricorso n. 27765/ 09).

Inoltre, il Garante ha sottolineato come debbano essere garantiti il transito e la sosta nel territorio nazionale per assicurare il soccorso e l'assistenza a terra delle persone prese a bordo, senza che questo faccia venir meno alcuna responsabilità dello Stato che ha effettuato il soccorso. Viene affrontata anche la questione della possibilità e dell'obbligo di fornire assistenza alle persone migranti a bordo delle navi che hanno effettuato il soccorso: il Garante pone la dicotomia tra «possibilità» e «obbligo», che rappresenta un'accentuazione di vulnerabilità irragionevole. Si sottolinea come la seconda ipotesi esporrebbe il Paese al rischio di censure internazionali e come non possa essere la finalità di radicare la responsabilità per l'accoglimento o il respingimento della domanda d'asilo in capo agli Stati di bandiera delle navi soccorritrici. In sostanza, il Garante osserva che «Imporre» e non «dare la possibilità» di domanda di protezione internazionale agli Stati di bandiera delle navi delle Organizzazioni non governative potrebbe degenerare verso una situazione di immediatezza del respingimento degli altri non richiedenti e, quindi, entrare in contrasto con il citato articolo 4 del Protocollo n. 4 della Convenzione. Ricordiamo che parliamo di osservazioni fatte prima del testo definitivo, ma che rivelano le criticità espresse dagli organismi internazionali dopo l’approvazione del decreto legge.

Il Garante ci ha tenuto a specificare che ha voluto instaurare un dialogo costruttivo. Ovvero – scrive nelle conclusioni delle osservazioni - «un dialogo che tiene presenti i diritti e le necessità primarie, incluso il soccorso, di chi mette in mare la vita propria e quella dei suoi cari in cerca di un “altrove” migliore, il diritto della collettività a essere rassicurata circa la presenza di persone irregolari sul proprio territorio, il diritto dell’Ordinamento a non essere esposto a rischi di censura rispetto a quegli impegni che costituiscono l’ossatura del proprio sistema democratico».

Ma le osservazioni sono arrivate anche dalla commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic. Il 26 gennaio ha inviato una lettera al Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi nella quale ha chiesto il ritiro o la modifica del decreto legge poiché esso impone lo sbarco di persone salvate in mare in porti lontani, allungando i tempi di navigazione e così aumentando i rischi insiti nella navigazione. Inoltre, la Commissaria ha sottolineato che, malgrado le flagranti violazioni dei diritti umani in Libia, l’Italia ha consentito il rinnovo automatico del Memorandum of Understanding con la Libia.

Il 30 gennaio, sempre il Consiglio d’Europa, attraverso il gruppo di esperti sulle ONG ha presentato un parere sul contrasto realtà agli standard europei del decreto legge n. 1 del 2 gennaio 2023 sulla gestione dei flussi migratori. Anche in questo caso, tenendo conto degli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e da numerosi altri atti internazionali, risulta chiara la contrarietà delle norme interne al diritto internazionale e l’effetto “bloccante” che queste misure determinano sul lavoro degli attivisti dei diritti umani e degli operatori delle ONG impegnati nel salvataggio in mare.