Ci sono voluti cinque mesi per una modifica considerata urgente. Urgentissima, tanto da aver indotto alcuni esponenti del governo a gridare allo scandalo, ma non al punto da doverla introdurre con un decreto legge e mettere così subito una “toppa” a quello che veniva considerato, sostanzialmente, un regalo ai mafiosi. E così, dopo i primi giorni di terrore a seguito della scarcerazione di ladri d'auto, sequestratori “semplici” di persona e boss accusati di lesioni, la furia di giornali ed esponenti politici si è ridimensionata, tant’è che nessuno ha più gridato allo scandalo. A finire nell’occhio del ciclone era stata quella parte della riforma Cartabia che prevedeva, per una serie di reati punibili fino a due anni, l’obbligo di querela e non più la procedibilità d’ufficio. Un tentativo di semplificare la giustizia e alleggerire i tribunali da procedimenti considerati minori, ma che aveva fatto alzare le barricate a magistrati e anche alle stesse forze di maggioranza, convinte di dover agire con celerità per evitare disastri. La modifica è arrivata però solo oggi, con il via libera definitivo del Senato al ddl (non certo un decreto legge, va ribadito), che ha fatto registrare il voto favorevole espresso dal Pd assieme alle forze di maggioranza.
La nuova norma prevede la procedibilità d’ufficio per tutti i reati procedibili a querela nei casi in cui ricorra l'aggravante della finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico o quella mafiosa, nonché per il reato di lesione personale quando è commesso da persona sottoposta a una misura di prevenzione personale, fino ai tre anni successivi al termine della misura stessa. Infine, è consentito l'arresto in flagranza obbligatorio, anche in mancanza di querela, nel caso in cui la persona offesa non risulti prontamente reperibile. La querela, in questi casi, deve comunque essere presentata entro 48 ore dall’arresto. La maggioranza esulta, le opposizioni - Pd escluso - un po’ meno, per la scarsa incisività dell’intervento. Che ha comunque fatto rientrare, a detta della maggioranza, il pericolo di agevolare le associazioni criminali. Una considerazione che non tiene conto del chiarimento fornito, nell’immediatezza della polemica, da Gian Luigi Gatta, professore di Diritto penale dell'Università di Milano ed ex consigliere della ministra Marta Cartabia: «La riforma - aveva spiegato all’Ansa - non ha reso procedibili a querela “reati contro il patrimonio in contesti mafiosi”» e nemmeno «ha toccato gli altri classici reati di criminalità organizzata, diversi da quelli contro il patrimonio, che restano procedibili d'ufficio», così come «la minaccia e la violenza privata commesse valendosi della forza intimidatrice delle associazioni criminali. Tutti reati che erano e restano procedibili d'ufficio anche dopo la riforma, senza alcuna implicazione su arresti e scarcerazioni». Oltre quaranta reati, infatti, tra i quali furto, percosse, lesioni personali, violenza sessuale e stalking erano già procedibili a querela prima della riforma Cartabia. Ed essendo reati comuni, aveva aggiunto, «potevano e possono essere commessi in qualsiasi contesto, compreso quello mafioso, e possono essere aggravati dal metodo mafioso». Insomma, il problema esiste «da trent'anni». E forse proprio per questo la corsa annunciata dal governo non è stata poi così affannosa...
Pubblicazione di atti segreti
Poche ore dopo l’approvazione del ddl, il guardasigilli si è presentato alla Camera per rispondere al question time. Due i punti fondamentali del suo intervento: intercettazioni e misure cautelari. In aula, Nordio ha ribadito che il pacchetto di riforme della giustizia in chiave garantista più volte annunciato è in dirittura d’arrivo ed entro fine mese verranno presentati i ddl sui temi segnalati. Con la promessa «solenne» di intervenire sulla pubblicazione di atti coperti da segreto, in particolare le intercettazioni, e la volontà di rendere le misure cautelari effettivamente extrema ratio. A intervenire in aula sul primo tema è stato Tommaso Calderone, di Forza Italia, secondo cui la pubblicazione abusiva di atti di indagine «non è un problema, è il problema». Tale abitudine, ha sottolineato, «ha determinato danni inestimabili per migliaia di cittadini italiani» e nonostante esista nel nostro ordinamento una norma - l'articolo 114, comma 2, del codice di procedura penale - che vieta la pubblicazione anche a stralcio di atti di indagine fino alla conclusione delle indagini preliminari, «vi è una disapplicazione interpretativa da parte di tutti. Non c’è un procedimento penale che sanzioni chi viola sistematicamente, tutti i giorni, tale norma in danno del cittadino italiano e violando un diritto di rango costituzionale, l’articolo 15». L’intento del governo, ha chiarito Nordio, è quello di «rivedere completamente la disciplina della segretezza degli atti istruttori e in particolare delle intercettazioni». E proprio questa mattina è terminata una prima fase di studio che verrà completata domani per stabilire il cronoprogramma, che prevede entro la fine del mese la redazione di una bozza da presentare in Consiglio dei ministri e poi in Parlamento. «Per quanto riguarda la violazione di queste norme, che ho dovuto constatare con rammarico durante i 40 di esercizio della magistratura - ha evidenziato -, la violazione stessa risiede in parte nella ambiguità delle norme stesse, sulla differenza tra la segretezza e la non pubblicazione, e in parte dal fatto che non si è mai individuato l’autore della diffusione illegittima di questi atti coperti da segreto. La segretezza delle conversazioni è l’interfaccia della nostra libertà - ha dunque aggiunto Nordio -. L’articolo 15 della Costituzione dice che la segretezza e la libertà sono indissolubili» e dunque «promettiamo solennemente che entro brevissimo tempo presenteremo un progetto in questa direzione».
Custodia cautelare
A interrogare il ministro sul secondo tema, quello che riguarda la custodia cautelare, è stato Pino Bicchielli, di Noi Moderati, che partendo dai ritardi cronici della giustizia italiana ha ricordato la raccomandazione con la quale la Commissione europea, l'8 dicembre del 2022, ha ribadito la necessità di ricorrere alla carcerazione preventiva solo «se strettamente necessario e come misura di ultima istanza». Misura che invece, secondo i dati del ministero della Giustizia, nel corso del 2021 è stata adottata in 24.126 casi. Nordio ha annunciato che alcune modifiche allo studio del ministero saranno presentate nel pacchetto in arrivo a fine mese, con un ddl che prevede la custodia in carcere come «eccezione dell’eccezione, non solo perché ce lo richiede la normativa comunitaria - ha sottolineato - ma perché ce lo richiedono l’etica, la razionalità e soprattutto la Costituzione, quando afferma la presunzione d’innocenza». Una strada che il ministro vuole perseguire anche attraverso «una rimodulazione procedurale sulla competenza anche dell'emanazione dell'ordinanza di custodia cautelare che fissa la custodia preventiva». Insomma, l’idea di un gip collegiale, lontano da chi ha richiesto la misura, per evitare superficialità e garantire maggiore indipendenza. Almeno stando agli annunci.