Dal punto di vista dell’opposizione, per esempio di Debora Serracchiani, l’interesse di Giorgia Meloni per la giustizia è «strumentale», è un «aggrapparsi a provvedimenti bandiera per mascherare i passi falsi».

Letta da dentro, con la lente dei parlamentari di centrodestra intervenuti lunedì all’inedito briefing sulla giustizia con la premier, è esattamente il contrario: «Meloni», spiegano, «tiene a rendere produttivo questo particolare settore dell’azione di governo e maggioranza». Ci tiene proprio perché si tratta di un terreno sul quale, come ha detto la presidente del Consiglio nel summit di due giorni fa a Palazzo Chigi, «le soluzioni tecniche si possono trovare, l’importante è che vi impegniate tutti a superare le divergenze, con lo sguardo all’obiettivo di una giustizia più efficiente».

Sarebbe insomma un peccato sprecare l’occasione: il senso del discorso di Meloni sembra questo. E, sempre in chiave rovesciata rispetto alla «strumentalità» di cui parla il Pd, la riforma della prescrizione rappresenta al meglio questa logica: il traguardo, nella sostanza, è a un passo, e anzi la modifica delle norme sull’estinzione dei reati ha tutti i numeri per diventare la prima legge garantista di questa maggioranza a entrare in Gazzetta ufficiale. Ieri le riunioni sono andate avanti, stavolta senza Meloni ma con una consultazione tecnica a via Arenula tra il ministro Carlo Nordio, il suo vice Francesco Paolo Sisto e i due sottosegretari Andrea Delmastro e Andrea Ostellari.

Oggi il presidente della commissione Giustizia Ciro Maschio, di FdI, dovrebbe riconvocare, sulla prescrizione, la seduta sospesa ieri, e avviare l’esame degli emendamenti. Difficile che già venerdì si possa approdare in Aula, com’era inizialmente previsto, ma a questo punto lo slittamento dovrebbe essere minimo.

Nel merito, la riforma resta ancorata alla “soluzione Lattanzi”, cioè al testo integrato dall’emendamento di Pietro Pittalis (FI), Ingrid Bisa (Lega) e Carolina Varchi (FdI): sulla scia della proposta avanzata nella primavera del 2021 dai “saggi” di Marta Cartabia (guidati dal presidente emerito della Consulta Giorgio Lattanzi, appunto), vengono spazzati via il blocca-prescrizione di Bonafede e l’improcedibilità di Cartabia. Formalmente viene rimossa anche la legge Orlando del 2017, il cui principio ispiratore era però in parte trasmigrato nel modello Lattanzi ed è quindi sopravvissuto in qualche modo anche nell’emendamento del centrodestra.

Ci saranno dunque 18 mesi di sospensione dopo l’eventuale condanna in primo grado e 12 mesi di sospensione dopo l’eventuale condanna in appello. Il tutto secondo la logica per cui, se una condanna viene impugnata, va concesso un margine in più affinché il grado successivo possa celebrarsi, senza che la ghigliottina della prescrizione si abbatta prima ancora che il giudizio d’impugnazione abbia inizio. Tra le modifiche dell’ultim’ora sulle quali ieri Nordio, Sisto e i due sottosegretari hanno continuato a confrontarsi, è escluso, secondo fonti di maggioranza, che possa trovare spazio il blocco della prescrizione dopo la condanna in appello (che avrebbe lasciato indefinito il termine per il giudizio in Cassazione ma che sarebbe svanito, con conseguente riavvio del timer, qualora la Suprema corte avesse optato per l’annullamento con rinvio).

È rimasto in ballo fino all’ultimo un allineamento completo alla “Lattanzi” della durata della sospensione in appello, che diventerebbe di 24 anziché 18 mesi. E si sono affinati alcuni dettagli tecnici, che dovrebbero avvicinare l’emendamento di maggioranza alla proposta di legge firmata da Enrico Costa, il deputato di Azione al quale il centrodestra ha ben volentieri affidato il ruolo di relatore.

Giovedì scorso, quando tutto sembrava pronto perché in questa settimana si esaurisse l’esame della prescrizione in commissione Giustizia e si avviasse la discussione in Aula, Nordio aveva convocato la riunione, che poi ieri si è effettivamente tenuta, con Sisto e i due sottosegretari. La mossa del guardasigilli ha confermato soprattutto la sua attenzione scrupolosissima per il dossier prescrizione. Che fa parte, fin dalle linee programmatiche, della sua road map, e che può senz’altro rafforzare la sua immagine di ministro garantista. A maggior ragione dopo il vertice preliminare tenuto lunedì con Meloni: a Palazzo Chigi non ci si era inoltrati, com’è avvenuto ieri a via Arenula, nei dettagli tecnici sulla prescrizione, ma si era aperta la strada perché Nordio potesse portare a casa il primo risultato concreto del proprio mandato.

A uno sguardo frettoloso, il testo di questa riforma sembra un limitatissimo intervento “di regolazione”. Ma non è così: intanto la base delle norme sulla prescrizione viene riportata alla ex Cirielli, che definisce il tempo di estinzione dei reati a partire dal massimo edittale aumentato di un quarto anziché della metà, come ha poi fatto la legge Orlando. Ma più di tutto, l’intesa trovata su questa materia nella maggioranza certifica, considerata anche la convergenza di Azione e Italia viva, che il fronte garantista, nell’attuale Parlamento, è forte. E che sull’idea di un diritto penale liberale, Lega e Fratelli d’Italia sono assai meno refrattarie alle sollecitazioni forziste di quanto si potesse credere all’inizio.