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Potere legislativo, esecutivo e giudiziario: questa la classica separazione dei poteri, di montesquiana memoria, caposaldo e baluardo di ogni democrazia moderna e stato di diritto. Ciascuno di questi poteri può, e anzi deve, comunicare nei confronti dell’altro, nei modi, casi e nelle forme previste dall’ordinamento, ma non può influenzare direttamente o indirettamente - e travalicare i limiti che la Costituzione e i supremi principi costituzionali attribuiscono a ciascuno dei tre, pena la cd. confusione dei poteri.
Non è un caso che lo stesso ordinamento conosca la possibilità di rivolgersi - con ricorso diretto alla Corte Costituzionale per risolvere, per l’appunto, il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Storicamente delicato, e sempre vivo, il dibattito intorno al rapporto tra potere giudiziario e potere legislativo (inteso nel suo senso primario di potere creatore della legge): benché traguardo fondamentale dell’Illuminismo la concezione dei giudici come “bouche de la loi” è evidente come - nei secoli - il potere giudiziario si sia affrancato da questo ruolo meramente esecutivo/ applicativo della voluntas legis tanto da divenire quello che nella dottrina comparatistica si identifica come un vero e proprio formante.
L’attività giudiziaria è - certamente - qualcosa di ben più complesso: ad essa - infatti - è affidato il ruolo fondamentale di dicere ius, cioè di fornire la corretta interpretazione della legge ( nomofilachia), di risolvere le controversie tra cittadini, di ripristinare l’ordine sociale violato con la commissione di reati...
Il punto di scontro ( di vero e proprio braccio di ferro si potrebbe discorrere) di questi due imprescindibili poteri dello Stato, distinti ma necessariamente complementari, si è - tra il resto - sempre concentrato sul tema della prescrizione. Da ultimo, si ricorderà come chi scrive ha seguito step by step la navetta parlamentare del disegno di legge in materia di riforma della prescrizione che sembrava ormai prossima alle fasi finali dell’approvazione definitiva. A seguito, infatti, dell’ultima votazione in Commissione Giustizia della Camera con la quale si era approvato come testo base la proposta di legge dell’on. le Pittalis, si era poi susseguita la fase di presentazione degli emendamenti al testo base. Se non fosse che - a seguito di una recente, accorata, lettera di moral suasion redatta e sottoscritta dai Presidenti di tutte e 26 le Corti d’Appello d’Italia con la quale si chiedeva “rispettosamente” di rivedere il disegno di legge, in particolare nella parte inerente la disciplina transitoria dello stesso l’iter parlamentare di approvazione del progetto di legge sembra essersi ( definitivamente?) interrotto.
Ritengono, infatti, le toghe che “ogni eventuale modifica imporrà, necessariamente, altra rivisitazione di parte molto consistente della pendenza di ciascun Ufficio. Essendo, per precedenti scelte del Legislatore e dell’Esecutivo, il giudizio penale di appello tuttora governato dalla carta, questa rivisitazione imporrà il materiale accesso a decine di migliaia di fascicoli cartacei pendenti. E non ‘ a costo zero’, perché sarà ancora tempo, tanto, di magistrati e personale amministrativo che fronteggiano scoperture di organico rilevantissime, sottratto alla trattazione delle udienze, i cui tempi inevitabilmente si allungheranno. In questo contesto, l’assenza di una tempestiva, chiara, esauriente disciplina transitoria renderebbe tale gravosissimo lavoro ingovernabile e in definitiva inutile: ciò, in periodo di PNRR e pertinenti obiettivi da raggiungere”.
Al di là del contenuto tecnico- giuridico della missiva, che sicuramente avanza legittime problematiche che potrebbero porsi a seguito dell’approvazione del disegno di legge in assenza di una disciplina transitoria, appare in ogni caso ampiamente discutibile il metodo con cui tali istanze sono state portate all’attenzione del Legislatore; non già dai corpi intermedi e rappresentativi della magistratura associata, autorizzati a svolgere attività di politica giudiziaria, bensì direttamente dai vertici delle singole Corti d’Appello del Paese con tono decisamente “istituzionale”.
La domanda viene allora spontanea, riprendendo quanto detto ad esordio: cosa avrebbe pensato Montesquieu di una democrazia che - poco a poco - da rappresentativa si trasformi ( rectius trasformasse) sempre più in giudiziaria…? Ai posteri, l’ardua sentenza!