«Con grande rammarico dobbiamo prendere atto della prescrizione per tutti gli imputati», afferma al Dubbio l'avvocato Stefano Maccioni, legale di parte civile di Rita Calore, madre di Stefano Cucchi morta nel 2022, e di Cittadinanza attiva. «L'amarezza è grande anche perché in primo grado per accertare i depistaggi, commessi nel 2009 alla morte di Stefano e poi durante i processi nel 2015 e 2019, il tribunale aveva fatto pur fra mille difficoltà uno sforzo senza precedenti», prosegue Maccioni il quale il mese scorso aveva anche presentato, senza successo, una istanza alla Corte d'appello per sollecitare la fissazione dell’udienza. «Abbiamo di fronte una giustizia melliflua quando si tratta dei potenti e arrogante con l’uomo della strada. Da anni aspettiamo scuse e risarcimenti per la vergogna cui abbiamo assistito. E invece da una parte si lasciano scivolare via i responsabili e dall’altra si prendono in giro le vittime promettendo risarcimenti che non arrivano. Vergogna tutta italiana», è stato invece il commento dell’avvocato Diego Perugini, difensore degli agenti di polizia penitenziaria che erano stati ingiustamente accusati di aver provocato la morte di Cucchi. Il processo nei confronti degli otto carabinieri accusati di aver depistato le indagini sulla morte del geometra romano è dunque destinato a chiudersi senza una sentenza definitiva.

In primo grado, ad aprile del 2022, il giudice Roberto Nespeca aveva condannato il generale Alessandro Casarsa a cinque anni di prigione, il colonnello Lorenzo Sabatino ad un anno e tre mesi, i colleghi Francesco Cavallo e Luciano Soligo a quattro anni, l'allora capitano Tiziano Testarmata ad un anno e nove mesi, tutti accusati a vario titolo e a seconda delle posizioni di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Pene minori erano state inflitte ai marescialli Francesco Di Sano e Massimiliano Colombo Labriola e al carabiniere Luca De Cianni.

Secondo la procura di Roma, allora diretta da Giuseppe Pignatone, la catena di falsi basati su alcune relazioni di servizio “taroccate” riferite allo stato di salute di Cucchi sarebbe partita da Casarsa, all'epoca comandante del Gruppo carabinieri della Capitale, con lo scopo di coprire le responsabilità dei militari che avevano causato a Cucchi «le lesioni che nei giorni successivi gli determinarono il decesso». Un processo che non è «all’Arma dei carabinieri», aveva detto il pm Giovanni Musarò, ma a quei carabinieri che «hanno preso in giro un intero Paese per anni».

L’accusa sottolineò come ci fosse stata «un’attività di depistaggio ostinata, a tratti ossessiva. I fatti che siamo chiamati a valutare non sono singole condotte isolate ma un’opera complessa di depistaggi durati anni con una “linea” tenuta fino al febbraio 2021», disse Musarò nella sua requisitoria.

A causa dei depistaggi, come ricordato da Maccioni, erano poi finiti a processo sei medici e tre infermieri dell'ospedale romano Sandro Pertini e tre agenti della polizia penitenziaria. Nel 2013 furono tutti assolti tranne i medici. Assoluzione che l'anno successivo arriverà anche per quest’ultimi. A dicembre 2015 la Cassazione annullò con rinvio. Nel 2016 nuova assoluzione.

La Cassazione, su ricorso della Procura, dispose allora un nuovo processo d’appello, che nel 2019 si concluderà fra assoluzioni e prescrizioni. Subito dopo la sentenza di primo grado il Comando generale diffuse un comunicato nel quale, oltre a rinnovare ai familiari di Stefano «ancora una volta tutta la vicinanza», precisò che le condotte accertate in sede penale erano «lontane dai valori e dai principi dell'Arma». Ribadendo poi il «fermo e assoluto impegno» ad agire sempre «con rigore e trasparenza» specie nei confronti dei propri appartenenti, i vertici di viale Romania a proposito dei militari condannati annunciarono che «nei loro confronti sono stati, da tempo, adottati trasferimenti da posizioni di comando a incarichi burocratici e non appena la sentenza sarà irrevocabile, verranno sollecitamente definiti i procedimenti amministrativi e disciplinari conseguenti».

Con una decisione senza molti precedenti, lo stesso Comando generale in precedenza aveva deciso di costituirsi parte civile nel processo. Prescritti tutti i reati, il “destino” degli otto carabinieri sarà allora nelle mani del comandante generale Teo Luzi e segnerà un importante precedente per coloro che incappano in vicende giudiziarie dall’analogo esito. Ad oggi il Comando generale nei loro confronti si è sempre ispirato al garantismo e quindi non ha sospeso dal servizio nessuno. C’è da capire cosa farà ora.