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Negli ultimi due anni c’è stato un crollo del volontariato in carcere che ha fatto crescere il rapporto tra volontari e detenuti, da 1 a 3,1 del 2019 a 1 a 5,4 nel 2020. La flessione maggiore si è avuta per le attività religiose (- 61,3%) e per le attività di formazione e lavoro (- 60,5%); anche le attività sportive, ricreative e culturali hanno perso una percentuale consistente di volontari (- 56,5%), più bassa è la flessione rilevata tra i volontari impegnati in attività di sostegno alle persone e alle famiglie, diminuiti del 31%. Questo e altro ancora emerge da una ricerca dal titolo “Al di là dei muri”, realizzata dalle Acli nazionali, in collaborazione con le Acli Lombardia, quelle di Varese e la Fondazione Enaip Lombardia. Si tratta di un’analisi approfondita sul ruolo fondamentale del Terzo settore nel mondo del carcere.
Come si legge nella prefazione a cura del presidente nazionale Acli Emiliano Manfredonia, il senso di questo primo report consiste essenzialmente nel documentare quello che le organizzazioni di quel mondo composito che chiama Terzo settore stanno già operando all’interno della realtà penitenziaria e di come esse tendano ad accompagnare i detenuti in un percorso che è indubbiamente afflittivo, ma che deve essere finalizzato alla prospettiva della risocializzazione una volta espiata la pena. Il presidente delle Acli ha anche evocato la figura di Aldo Moro e quanto la questione dell’umanità della pena, del recupero della centralità della persona anche nel diritto penale, sia stata al centro della riflessione filosofica e giuridica della sua persona. Anche come professore universitario ( Moro non interruppe mai la sua attività di docente) manteneva questo interesse, accompagnando i suoi studenti a visitare le carceri. Per Moro la pena «è privazione della libertà, ma è soltanto privazione della libertà, non più di questo». Da qui il suo rifiuto incondizionato della pena di morte, «vergogna inimmaginabile» in una democrazia costituzionale. Da qui anche – sottolinea Manfredonia nella relazione e ciò può sorprendere i più - l’altrettanto netto rifiuto dell’ergastolo, appellato come il «fatto agghiacciante della pena perpetua», più crudele e disumana della stessa pena capitale. Il report ribadisce l’importanza del Terzo Settore, soprattutto per l’accoglienza esterna dei detenuti, utile per le misure alternative al carcere, ovvero le misure di comunità. Attualmente il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria spende il 97% dei fondi ad esso assegnati per mantenere gli oltre 200 istituti di pena del territorio, quasi 3 miliardi ogni anno. «Un investimento a perdere se si calcola l’altissimo tasso di recidiva, che porta gli stessi soggetti ad affollare nuovamente le stesse strutture dalle quali dovevano uscire invece rieducati e reinseriti nel contesto sociale», sottolinea sempre il report. L’esecuzione penale esterna è quella che riceve meno soldi di tutti. Investire in esecuzione esterna significa anche non lasciare soli gli autori e le vittime, mentre nel sistema attuale i primi spesso sviluppano sentimenti di vittimizzazione e i secondi si sentono abbandonati dalle istituzioni preposte a difenderle. Va dato atto che c’è una crescita esponenziale delle misure di comunità grazie al Terzo Settore. Incrementarle, sia completando la riforma dell’ordinamento penitenziaria sia con i fondi, vuol dire poter fare a meno di costruire nuove carceri.
Il passaggio dal volontariato individuale al volontariato organizzato coincide con la diffusione della cooperazione sociale e l’evoluzione del welfare mix. Oltre ai volontari, il carcere ha quindi cominciato ad ospitare operatori professionali di cooperative e organizzazioni no profit, impegnate nella gestione di progetti e iniziative di sostegno di varia natura. Oggi la maggior parte delle attività trattamentali e rieducative viene realizzata con il sostegno, spesso completo, di organizzazioni del Terzo Settore. Un dato aiuta a comprendere la situazione. Il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, per il 2020, disponeva di un budget di oltre 3 miliardi di euro ( un terzo del bilancio complessivo del ministero della Giustizia). Questa somma è assorbita per il 77,98% dai costi del personale; per la voce “Mantenimento, assistenza, rieducazione e trasporto detenuti” sono stati stanziati 279 milioni di euro ( il 9,28% del budget del Dap). A fronte di investimenti così limitati, è evidente che il ruolo del volontariato diventi cruciale: le organizzazioni del Terzo Settore forniscono una grande varietà di servizi, coinvolgendo decine di migliaia di persone. A ciò occorre aggiungere, gli interventi realizzati con fonti di finanziamento esterne: enti locali, fondazioni bancarie, aziende, supportano economicamente le organizzazioni del Terzo Settore nella realizzazione di progettualità sociali all’interno delle carceri, soprattutto nel settore del lavoro e della cultura.
Ma quali sono le criticità di queste organizzazioni del Terzo Settore? Dal report emerge che, talvolta, i progetti sono intermittenti a causa di eventi straordinari all’interno delle case circondariali ( rivolte, evasioni, ecc.) o esterni come la pandemia. Ma la maggior parte delle volte i progetti mancano di continuità perché i finanziamenti sono scarsi e a breve termine. Sono proprio le associazioni più piccole e le cooperative ad essere maggiormente vulnerabili rispetto alla continuità, poiché, in quanto poco strutturate, non sempre hanno i requisiti o i contatti dovuti per trovare ulteriori opportunità di ri- finanziamento.
Un altro elemento che il report tiene in considerazione è la formazione specifica dei volontari. Talvolta l’entusiasmo e la volontà di fare qualcosa di utile non sono accompagnati da un’effettiva capacità di gestione di alcune delicate situazioni che possono venirsi a creare con i detenuti, ma anche con lo stesso personale degli istituti penali, che può vedere con sospetto e come un “intralcio” il lavoro dei volontari. Infine, un importante elemento di criticità è dato dal fatto che non sempre le organizzazioni di Terzo settore impegnate nel mondo del carcere sono in grado di provare l’efficacia del loro contributo e di dimostrare risultati tangibili attraverso analisi anche longitudinali. Infatti, la mancanza di monitoraggi sistematici sulle attività svolte all’interno e all’esterno degli istituti penali, purtroppo, non valorizza l’importante ruolo che il Terzo settore svolge in questi luoghi.
La ricerca “Al di là dei muri” è solo un primo passo. Come spiega Antonio Russo, vice presidente nazionale, «le Acli ritengono importante approfondire il ruolo del Terzo settore nel carcere, non una tantum, ma attraverso un’analisi cadenzata e regolare, capace di monitorare negli anni l’importante ruolo che esso svolge in questi luoghi. Il rapporto ci consegna un primo punto sull’impegno del mondo non profit in tema di detenzione e ci consente di individuare piste di lavoro per le successive edizioni del Rapporto con un focus particolare sull’importante tema della re- entry».