Il giorno dopo la scelta del nuovo procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli, in una intervista al "Corriere della Sera" si dice soddisfatto: «Il Consiglio ha nominato un magistrato di grande valore, fornendo una risposta concreta e puntuale all'esigenza dei cittadini di avere un adeguato contrasto alla criminalità organizzata. Fermo restando che la repressione penale non è la soluzione di tutti i problemi». C'è voluto più di un anno: «Noi ci siamo insediati a febbraio e in sette mesi abbiamo fatto la nomina, oltre ad altre ugualmente importanti. In media abbiamo già ridotto di un terzo i tempi per l'attribuzione di incarichi direttivi e semi direttivi, grazie al lavoro dell'apposita commissione. E smaltito l'arretrato di oltre il 20 per cento. Sono risultati importanti, dovuti al grande lavoro di tutti i consiglieri».

Pinelli osserva inoltre che «gran parte delle nomine di questo Consiglio è decisa all'unanimità e, quando non avviene, le maggioranze sono variabili, senza schieramenti predefiniti. Proprio su Napoli ci sono stati voti trasversali tra laici e togati». Appena 4 su 19: i due blocchi erano evidenti: «Dividere la magistratura fra destra e sinistra e riduttivo e fuorviante, e va rivalutata l'importanza dei laici all'interno del Csm. La Costituzione li ha previsti per evitare di farne un organo autoreferenziale e garantire il governo della funzione giudiziaria, non della corporazione. E in questo Consiglio il ruolo dei laici si sta distinguendo per competenza e professionalità».

Su Gratteri e altre pratiche il vice presidente ha votato abbandonando la tradizionale astensione: «Ritengo doveroso e opportuno dare il mio contributo nei casi di maggior rilievo, assumendomene la responsabilità. Ho verificato che dal 1998 in avanti i vice presidenti hanno votato nel 31 per cento delle pratiche, io sono ben al di sotto la media». 

Per la Procura di Firenze il suo voto è stato decisivo, alimentando sospetti su una scelta determinata dalle aspettative di alcuni politici: «Pensare che le decisioni del Csm siano frutto di aspettative politiche è sbagliato e offensivo. Perché il presupposto è che le iniziative delle procure non siano conseguenza di presunte violazioni della legge, bensì dell'orientamento politico di un procuratore o di un interesse politico in gioco». Lo pensano molti politici: «Ma io respingo questa visione, perché credo che la magistratura non sia irrimediabilmente politicizzata. Credo piuttosto che i capi delle procure svolgano le loro funzioni per organizzare l'ufficio e determinare strategie investigative, dopodiché ogni singolo magistrato, nell'ambito della propria autonomia, si occupa del reato eventualmente commesso. Avendo come unico riferimento la violazione della legge».

Quanto alle accuse di politicizzazione rivolte alla magistratura: «La separazione dei poteri deve declinarsi in comportamenti concreti. Sulla magistratura si è sovraccaricato l'onere della soluzione di molti conflitti interni alla società, che ha perso i luoghi di mediazione come partiti e sindacati. Tuttavia la politica deve riprendere la sovranità sulle regole, attraverso il Parlamento che e' portatore della rappresentanza sovrana», ha concluso Pinelli.